domenica 22 ottobre 2023

Lorefice: come don Pino Puglisi dobbiamo essere tutti semi in-terrati




Il 20 e 21 ottobre si è tenuta l'Assemblea diocesana della Chiesa di Palermo presso l'Istituto Don Bosco-Ranchibile. Due giorni intensi di relazioni e riflessioni con il tema "La bellezza e la differenza del Vangelo" all'insegna del ricordo del martirio del Beato Giuseppe Puglisi (il 21 ottobre è la sua memoria liturgica) e del cammino di discernimento sinodale. Ecco l'omelia dell'Arcivescovo Corrado Lorefice


Giovanni 12,20-32

 “Signore, vogliamo vedere Gesù”. Quelli che erano saliti a Gerusalemme “per adorare” (προσκυνήσωσιν), pur non essendo figli di Israele – sono i “gentili”, cioè appartenenti “alle genti” – partecipano con desiderio alla fede del popolo di Dio. Certo, sono figli di altri popoli, attratti e, per molti aspetti, accolti nella fede di Israele. La Scrittura li chiama “coloro che temono Dio”. I due discepoli di Gesù, Filippo e Andrea, sono gli unici due che portano un nome greco. È interessante la richiesta a loro rivolta che esprime il desiderio di questi provenienti dal paganesimo di incontrare Gesù, di vederlo: “Signore, vogliamo vedere Gesù” (v. 21).

Anche noi discepoli e discepole che viviamo nelle città della nostra Chiesa locale, l’Arcidiocesi di Palermo, tutti siamo provenienti dai “gentili”, dai pagani. Noi portiamo un nome, come Filippo e Andrea, che rivela la nostra provenienza. Come Andrea e Filippo che vanno insieme da Gesù, insieme, syncondiscepoli, insieme sulla stessa viasyn-odos, dietro la Via – “li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi” (Lc 10,1) – siamo chiamati a facilitare la realizzazione del desiderio degli uomini e delle donne di questo nostro tempo di vedere “lo splendore del glorioso vangelo di Cristo che è immagine di Dio” (2Cor 4,4). Avere a cuore i molti che anche oggi desiderano “vedere Gesù”, custodire un cuore capace di occhio attento e compassionevole per poterli riconoscere. Un cuore immedesimato in Cristo servo che ha pensato e vissuto la sua vita come dono; un cuore libero di aver compassione per ogni volto sofferente, per ogni grido che chiede riscatto e liberazione; un cuore libero di svuotarsi per riempirsi dell’altro.



“Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo” (Gv 12,26). Lo sguardo di don Pino era stato folgorato dallo sguardo di Gesù. Ne portava impressa negli occhi la luce. Quella che rifulge nella notte vinta dal fulgore della risurrezione di Cristo e che si riverbera e deflagra in ogni discepolo e discepola rinati nella Pasqua delle acque battesimali. Luce che viene alimentata, di domenica in domenica, nelle nostre comunità radunate dal Crocifisso risorto dove Egli ci apre ancora al senso delle Scritture e ci introduce al banchetto fraterno del suo corpo donato. Luce che attingeva anche dalla grazia del ministero presbiterale vissuto con gioiosa e totale donazione. In un testo di chiaro riverbero autobiografico – non conosciamo chi sia l’autore –, trovato da don Francesco Michele Stabile in una carpetta consegnata in Curia da Mons. Renna, si fa dire a don Puglisi:

“Nella mia vita, infatti, ho cercato di porre attenzione innanzitutto ai bisogni dell’uomo per poi poterlo mettere nelle condizioni di poter abbracciare “liberamente” la fede nell’unico Dio che io annuncio. […] mi sono detto: “Cristo, quando è venuto, non ha forse mangiato con i pubblicani e si è visto in compagnia dei peccatori?”. Mio ideale era quello di imitare il Maestro.  Sì, essere occhio per il cieco, piede per lo zoppo, seme di una nuova cultura della legalità illuminata dalla fede. Queste le linee di massima, le linee in cui mi muovo. Queste le linee adottate a Godrano, al CDV dove cercavo di aiutare i giovani, poveri giovani, a fare chiarezza dentro di loro almeno per poter capire a cosa il Signore li chiamava. Questo ho fatto anche in seminario dove sono stato accolto come padre spirituale. Queste le linee adottate a Brancaccio nella parrocchia di San Gaetano”.

Il chicco di grano caduto in terra. Abbiamo ricevuto in eredità il segno del chicco di grano caduto in terra. Gesù non ha voluto salvarsi da quell’ora – l’ora dell’amore massimo di chi abbandona, rinnega, tradisce, ti uccide (cfr Gv 13,1) –, né esserne esentato, ma è sempre rimasto fedele alla sua missione di compiere la volontà del Padre nella via dell’umiliazione, della povertà, della mitezza e del perdono e non attraverso la violenza, la potenza, il dominio, la vendetta. Comprendiamo dunque la sua preghiera: “Padre, glorifica il tuo Nome” (v. 28). Questa sottomissione – capace di attraversare il travaglio e il turbamento della prostrazione del Getsemani, la tentazione – non è la resa a un destino implacabile, bensì l’adesione ai sentimenti del Padre, sentimenti di amore per il mondo fino al dono dell’unigenito suo Figlio (cfr Gv 3,16).



In-terrati. “In terra”, nei solchi di Dio e degli uomini, nel territorio che condividiamo con altri uomini e donne, piccoli e adulti, malati e anziani, di ogni cultura e di ogni fede, nelle nostre città, nei nostri ambienti di vita. Essere discepoli tra le case degli uomini. “In-culturati”; in dialogo. Senza supponenza. Con umiltà. Perché anche noi siamo terra, humus. Dentro la storia. Corpi tra corpi. Essere comunità ‘casa tra le case’, comunità che non temono la contaminazione, comunità dalla contaminazione. Anche noi segnati dalla nostra provenienza dalla Galilea delle genti.

In quel testo che vi citavo si fa dire a don Pino: “A Brancaccio io ho anche la mia casa e la sera quando rientro mi piace starmene un poco in silenzio per strada prima di entrare. Lo faccio per ascoltare, è infatti alla sera, quando si spengono i rumori della giornata, che nell’aria si respira la sofferenza, l’ingiustizia, il bisogno degli uomini e il bisogno dei piccoli” (Da un testo di chiaro tenore autobiografico trovato in una carpetta consegnata in Curia da Mons. Renna).

Continuiamo a starcene un poco in silenzioso ascolto per strada prima di rientrare nelle nostre comunità dove avremo un orecchio più in-terrato per sintonizzarsi con le parole di Dio che continuano a risuonare nella Parola e nella carne della storia. Insieme. Sempre insieme. Effettivamente e, per quanto ci è possibile, anche affettivamente, cioè nello Spirito, nell’energia dell’amore di Dio, della relazione intratrinitaria. Sulle orme di Cristo, in compagnia del Beato Giuseppe Puglisi e di tutti i luminosi testimoni della nostra feconda in santità Chiesa palermitana.

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