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Grazie a Carlo Mellea, presidente dell'Osservatorio calabrese "Falcone-Borsellino-Scopelliti", vi proponiamo un'intervista al giornalista siciliano, Francesco Deliziosi, in merito alla sua amicizia ed alla sua esperienza con don Pino Puglisi che sarà pubblicata in questi giorni sul periodico dell'Osservatorio, "L'officina del libero pensiero". Di seguito il testo:
Francesco Deliziosi, giornalista palermitano, è stato allievo al Liceo di padre Pino Puglisi e suo collaboratore durante gli anni di Brancaccio. Ha poi aiutato anche il Postulatore, mons. Vincenzo Bertolone (arcivescovo di Catanzaro), partecipando al lavoro che ha portato alla beatificazione del parroco ucciso dalla mafia, la grande festa celebrata a Palermo il 25 maggio scorso davanti a 80 mila persone. E' anche autore del libro "Pino Puglisi, il prete che fece tremare la mafia con un sorriso" (Rizzoli, prefazione di don Luigi Ciotti). Su invito dell'Osservatorio Falcone-Borsellino-Scopelliti ha presentato il suo volume il 28 febbraio 2014 a Soverato nella libreria "Non ci resta che leggere" e il 1° marzo a Lamezia Terme al Liceo Campanella.
- Qual è stato il suo rapporto col Beato padre Pino Puglisi? Come lo ha conosciuto, cos'ha apprezzato di lui?
Al liceo Vittorio Emanuele II di Palermo (dove ha insegnato dal 1978 fino alla morte, nel 1993) padre Pino Puglisi – amava farsi chiamare "3P"- è stato l'insegnante di religione mio e della compagna di classe che ora è mia moglie. Ci ha accompagnato nel nostro cammino di fede e ha benedetto il nostro matrimonio. Quando è diventato parroco di Brancaccio, nell'ottobre del '90, l'abbiamo raggiunto e ci siamo impegnati con lui nel quartiere. Doveva battezzare nostro figlio Emanuele e ci metteva fretta ogni volta che ne parlavamo: "Dobbiamo battezzarlo subito, subito"... L'ultima volta è successo tre giorni prima del delitto. Lui aveva capito che gli era rimasto poco tempo, in quel caldo settembre del 1993.
- Com'era in classe?
In classe sapeva tessere rapporti personali fortissimi. Partiva da argomenti non strettamente in programma ma che interessavano noi ragazzi: politica, educazione sessuale, i difficili rapporti di amicizia o sentimentali che catalizzano l'attenzione degli adolescenti. Sapeva ascoltare ed era autoironico: diceva che quelle sue orecchie a sventola servivano appunto per ascoltare meglio... Era sempre disponibile agli incontri anche fuori dagli orari scolastici. Il suo tempo era donato totalmente agli altri, soprattutto ai giovani.
E tutto questo nella dimensione di una vita poverissima: "La benzina è il mio pane", mi diceva. Il pane poteva mancare alla sua umile mensa. E infatti aveva il frigorifero sempre vuoto. Ma non mancava mai il carburante per l'utilitaria, in modo da essere sempre pronto ad accorrere dove una telefonata di un alunno o un presentimento rendevano necessaria la sua parola.
Abbiamo trovato tante testimonianze di alunni o di ragazzi per cui don Puglisi è stato – come per noi - un punto di riferimento fortissimo. Toccante (è riportato nel mio libro) il racconto di una giovane che aveva deciso di suicidarsi al culmine di un periodo di depressione. Don Pino riuscì a salvarla con la sua tenerezza e accoglienza. Le ripeteva: "Pensaci, per me sei importante". Questi sono i miracoli di padre Puglisi.
- Quali insegnamenti possiamo ricavare dal comportamento di Padre Pino Puglisi e come si può vivere il proprio cristianesimo in ambienti difficili qualisono i quartieri-dormitorio delle periferie delle città siciliane ma anche calabresi?
Le testimonianze sono ora univoche: don Pino propone a Brancaccio un modello di prete che i boss non riconoscono, mentre si sono sempre mostrati pronti ad accettare e «rispettare» un sacerdote che sta in sacrestia, tutto casa e chiesa, promotore di processioni - magari al fianco dello "Zio Totò" di turno -, che "campa e fa campari". Padre Puglisi sceglie invece di uscire dalla sacrestia e di vivere fino in fondo i problemi, i rischi, le speranze della sua gente. Desidera, in quanto parroco, la liberazione e la promozione del suo popolo. E ciò vale come modello per tutte le periferie siciliane e non solo.
Don Puglisi propone inoltre un nuovo modello di parrocchia. Tra le sue iniziative, ad esempio, c'era la richiesta di una scuola media a Brancaccio, e per questo è un pungolo continuo per le istituzioni. Da qui una serie di manifestazioni, di contatti con lo Stato, di proteste civili. Tutto questo avviene alla luce del sole, lontano dall'altare, con gesti che per la loro visibilità non passano inosservati: sono scelte ben precise e compiute con la consapevolezza del loro effetto dirompente sugli equilibri mafiosi. «Non dobbiamo tacere», diceva don Pino ai parrocchiani più timorosi nei giorni delle minacce, degli attentati che preludevano all'agguato. E aggiungeva, citando San Paolo, "si Deus nobiscum, quis contra nos?". Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?
Sono scelte che lasciano intravedere l'immagine di una Chiesa che ha deciso di essere «debole con i deboli», di stare dalla parte degli ultimi, che crede nelle istituzioni, ma senza supplenze o logiche clientelari.
Come non sentire nelle vicende di don Puglisi l'eco delle parole di Papa Francesco che chiede oggi ai sacerdoti di "sentire l'odore delle pecore" e "una Chiesa povera e per i poveri, che vada nelle periferie, testimone della storia d'amore che ci lega a Dio"?
- Che cosa significa per tutti la beatificazione di don Puglisi?
La beatificazione di padre Puglisi ha un significato di liberazione: è come se la Chiesa avesse cacciato fuori dal tempio i mafiosi con tutto il loro armamentario di santini bruciati, bibbie del Padrino e così via. I boss hanno usurpato i riti cristiani, cercano di farsi passare per persone religiose. Ora la Chiesa, proclamando Beato don Puglisi, dice: la mafia è un'altra religione, siamo due mondi a parte. E il parroco di Brancaccio è oggi un martire come i missionari che vengono trucidati in Africa o i sacerdoti che furono uccisi dai nazisti. I mafiosi, rappresentanti di un'altra religione, per odio alla fede cristiana hanno cercato di far tacere la sua voce. Ma, come ha detto Papa Francesco, "pensavano di averlo sconfitto, ma è lui che ha vinto".
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