sabato 30 agosto 2014

PADRE PUGLISI, IL SUO METODO, LA PARROCCHIA E I GIOVANI/3

PADRE PUGLISI, IL SUO METODO, LA PARROCCHIA E I GIOVANI

Materiali utili in particolare per le ricerche scolastiche


(terza parte)



IL METODO
I tremila volumi sparsi nell'abitazione di don Puglisi (oggi parte della sua biblioteca è stata trasferita al Seminario di Palermo), al Centro vocazioni o dati ...in "prestito permanente" agli amici attestano una solida cultura teologica (amava particolarmente le opere di Karl Rahner, uno dei padri del Concilio), filosofica (in special modo sul Personalismo del filosofo francese Emmanuel Mounier) e pedagogica.

Freud e Fromm ma anche Sartre e Maritain: Padre Pino metteva al servizio della sua sensibilità le più acute riflessioni dell'esistenzialismo e i più moderni metodi della psicanalisi, della logoterapia e della terapia di gruppo (tra i suoi autori preferiti anche l'americano Karl Rogers).

Strumenti che utilizzava tacitamente, senza vanterie, per affinare le notevoli qualità innate grazie alle quali entrava facilmente e profondamente in contatto con l'Altro (quella che Rogers nei suoi scritti chiama empatia).

Oltre ai suoi volumi testimonianze preziose sono le decine di cassette con le registrazioni di suoi discorsi o omelie, che al Centro diocesano vocazioni stanno ora costituendo un archivio organico.
Da questo materiale sono tratte le citazioni utilizzate per queste pagine.
Lungo tutta la sua vita don Puglisi ha saputo tessere rapporti personali fortissimi, a prescindere dall'estrazione sociale, dal titolo di studio dell'interlocutore.
La prima fase era l'ascolto.
Senza parlare mai di religione o di Dio, nel delicato momento dell'approccio non dava consigli immediati, ricette magiche.
Sapeva che per usare le parole giuste, soprattutto con gli ultimi, con i deboli, bisogna prima dividere a lungo il pane e il vino con loro.

In un mondo che corre, dove ognuno è in fondo perso dentro ai fatti suoi, le grandi orecchie di don Pino erano un approdo sicuro.

Il percorso dell'ascolto era lungo, tortuoso, poteva anche durare anni, poteva anche non sboccare da nessuna parte. Padre Puglisi sapeva ascoltare, rispettava i tempi di tutti, invitava a scandagliare il proprio animo, per misurare le energie prima di scegliere un traguardo.

Sul suo stile ha scritto parole illuminanti padre Agostino Ziino - un palermitano entrato a far parte della comunità monastica in Toscana di don Divo Barsotti - in un discorso di commemorazione nel primo anniversario della morte:
"Non era un grande oratore ma un prete la cui parola, proposta in quel modo tutto suo - con pacatezza, lentezza di espressione, che non era né impaccio né imbarazzo - rivelava la volontà di comunicare idee non tirate fuori frettolosamente e superficialmente, bensì meditate e ben mirate; non era neppure un uomo dalle manifestazioni e dalle espressioni vistose, eppure, essenziale com'era nel vivere l'amicizia come dono di sè agli altri, te lo ritrovavi vicino nei momenti in cui era bello o utile condividere con lui una gioia o un dolore.

Lì dove lo incontravi, seppur immerso in attività pastorali di gruppo o in dialoghi personali o nella preparazione di incontri di catechesi o di preghiera, ti accoglieva sempre come tu fossi stato per lui un dono di Dio.
E mai ti liquidava frettolosamente, proprio come se fosse lui a ricevere qualcosa da te, da te che andavi a lui soltanto per un breve saluto.
Il tempo nelle sue mani si dilatava; ma sarebbe meglio dire non nelle sue mani ma nel suo cuore, perché solo l'Amore riesce a dilatare gli spazi interiori del cuore perché si sappia sempre accogliere gli altri come sapeva fare lui.
Ovunque fosse e in ogni momento della giornata - oserei dire proprio notte e giorno - ti offriva quel suo sorriso accogliente e rassicurante, che era già in sé messaggio evangelico di una beatitudine vissuta.

Il segreto di questo suo stile di donarsi agli altri non poteva che essere una Carità scelta e assunta come atteggiamento costante, a cui mantenersi fedele, e che rendeva tutto in lui profondo e semplice, propriamente evangelico
".
Quando scoccava una scintilla nell'animo del giovane che don Pino stava seguendo, alla fase dell'ascolto subentrava quella della vita comunitaria, dell'apertura del dialogo con gli Altri.
Esempi preziosi di questo lavoro, che riprendeva molte delle tecniche psicologiche della terapia di gruppo, sono i campi vocazionali che padre Puglisi organizzò lungo tutti gli anni Ottanta, prima di diventare parroco a Brancaccio.
In un'atmosfera di piena libertà, senza l'obbligo di indossare "maschere" per mostrarsi agli altri, i giovani che partecipavano ai campi erano condotti a scoprire i valori dell'amicizia, della solidarietà, della fraternità, del servizio, in una parola del "vivere insieme" nel senso cristiano.
A chi, dopo aver compiuto questo cammino, chiedeva di avanzare ancora di un passo, padre Pino offriva di slanciarsi nella scelta di Dio: ognuno di noi - diceva spesso don Puglisi - sente dentro di sè un'inclinazione particolare, un carisma.
Un progetto che rende ogni uomo unico e irripetibile.
Questa "chiamata" è il segno dello Spirito Santo in noi.
Solo ascoltare questa voce può dare senso alla nostra vita
.

LA PASTORALE VOCAZIONALE
"Sì, ma verso dove?", era uno degli slogan preferiti da padre Pino:
verso dove vogliamo che vada la nostra vita?
In sintonia con la teologia post-conciliare, don Puglisi applicò, nel suo rapporto con i giovani, il concetto di "vocazione" nel senso più esteso: dalla vocazione esclusivamente sacerdotale si passò alla riflessione esistenziale sulla "chiamata" che ogni uomo sente dentro di sè e che deve saper interpretare per venire incontro allo Spirito.
Un invito alla meditazione che è servito da guida alle migliaia di adolescenti che padre Pino è riuscito ad avvicinare a Cristo.
"Bisogna cercare di seguire la nostra vocazione - ha detto padre Pino - il nostro progetto d'amore. Ma non possiamo mai considerarci seduti al capolinea, già arrivati. Si riparte ogni volta. Dobbiamo avere umiltà, coscienza di avere accolto l'invito del Signore, camminare, poi presentare quanto è stato costruito e poter dire: sì, ho fatto del mio meglio.
Venti, sessanta, cento anni...la vita. A che serve se sbagliamo direzione?
Ciò che importa è incontrare Cristo, vivere come lui, annunciare il suo amore che salva. Portare speranza e non dimenticare che tutti, ciascuno al proprio posto, anche pagando di persona, siamo i costruttori di un mondo nuovo
".

(3-continua)

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