sabato 15 ottobre 2022

Mafia e Chiesa, una storia di peccatori, martiri e profeti

Lo storico don Francesco Michele Stabile


"La Chiesa sotto accusa", saggio di don Francesco Michele Stabile, ripercorre in una analisi socio-politica cento anni di storia della Chiesa siciliana alla luce dei rapporti con la mafia, delle sottovalutazioni e delle infiltrazioni subite. Ecco una recensione del libro.

 


di Francesco Deliziosi

 La parola mafia si trova per la prima volta in un documento  ufficiale della Chiesa siciliana nel 1964: è la Lettera Pastorale  di Pasqua del cardinale Ernesto Ruffini. La mafia esisteva da  almeno cento anni. Come si spiega questo lieve ritardo? E' il  punto di partenza dell'ultimo e monumentale studio dello  storico don Francesco Michele Stabile, «La Chiesa sotto  accusa», 546 pagine (Il Pozzo di Giacobbe), che ripercorre il  periodo che va dal 1861, l'Unità d'Italia, al 1965, quando si  concluse il Concilio Vaticano II e in Sicilia c'era la prima  guerra di mafia (la strage di Ciaculli è del '63).

Il Cardinale Ernesto Ruffini in una foto dell'ordinazione di don Pino Puglisi




 La storiografia e le inchieste giornalistiche hanno finora  concentrato le attenzioni sui tempi più recenti, questo studio  viene a colmare una lacuna e punta – scrive l'autore – «a entrare  nella complessità di una realtà che si presenta molto variegata  per capire, non per giudicare». Nella consapevolezza «di una  vulgata quasi scontata di una Chiesa imputata di non avere  colto il male di mafia e di non averlo combattuto, anzi di  esserne stata a volte connivente in alcuni suoi preti».

 Già basterebbe questo incipit per invogliare alla lettura di un  saggio che è avvincente, documentatissimo e attraversa cento  anni della nostra storia senza infingimenti ma anche senza  pregiudizi. Vengono enumerati i casi eclatanti (come quello dei  frati di Mazzarino), analizzati i lunghi silenzi e le  sottovalutazioni (le posizioni di Ruffini) ma l'autore non si  adegua allo stereotipo secondo cui la storia della Sicilia e della  sua Chiesa viene a coincidere tout court con la storia della  mafia. «Incontriamo in questi cento anni – scrive don Stabile –  peccatori, martiri e profeti. Mi pare, nonostante rilevanti limiti  e ritardi, sia da correggere una immagine di Chiesa totalmente  agnostica sulla mafia, tutta indifferente, tutta tollerante, tutta  compromessa con la mafia come sembra risultare da certe  ricostruzioni giornalistiche. Il mondo ecclesiale ha vissuto  purtroppo nel bene e nel male sul fronte della mafia fino al  Concilio le stesse incertezze, la stessa indifferenza, gli stessi  limiti di comprensione, i silenzi e, in alcuni casi, i compromessi  che erano propri di tutta la società siciliana». 

Non mancano, e  sono ampie e dettagliate, le critiche a esponenti del clero e della  Dc che favorirono il protrarsi della cecità nei riguardi del  fenomeno mafioso. Ma sono numerosi anche gli esempi di  coloro che, in anticipo sui tempi della giustizia, seppero  pronunciare parole profetiche. Come don Luigi Sturzo che in  un articolo pubblicato a Caltagirone il 21 gennaio 1900 scrive  con sorprendente attualità che «la mafia stringe nei suoi  tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica. La mafia  oggi serve per domani essere servita, protegge per essere  protetta, ha i piedi in Sicilia ma afferra anche a Roma, penetra  nei gabinetti ministeriali, costringe uomini, creduti fior  d'onestà, ad atti disonoranti e violenti». Emerge dallo studio di  don Stabile che in realtà «la maffia, i cui appartenenti si  dedicano a crassazioni, latrocinii, omicidi», è citata già nel  1926 in una allarmata relazione riservata inviata da Palermo al  Papa dal cardinale Alessandro Lualdi. E che - prima di arrivare a Pappalardo - diversi vescovi  (Peruzzo, Petralia) ebbero atteggiamenti di fermezza e giudizio  lucido e severo sui mafiosi. 

Il Cardinale Salvatore Pappalardo con don Pino Puglisi nella Chiesa di San Gaetano a Brancaccio



Così come viene dimostrato che  sulla stampa cattolica siciliana di mafia si scriveva e a viso  aperto, in largo anticipo sulle posizioni ufficiali (una citazione  merita il compianto Nino Barraco). Impossibile sintetizzare qui  un volume che è una pietra miliare per chi vorrà informarsi  o studiare e approfondire la spinosa materia. Non si può  omettere tuttavia la pietas con cui don Stabile descrive quei  numerosi sacerdoti che nel primo ventennio del Novecento furono uccisi dalla mafia per la loro azione sociale a sostegno  dei poveri nei paesi e dei contadini nelle campagne. Martiri  ante litteram che la Chiesa dovrebbe riscoprire e additare come  modelli, così come è stato fatto per don Pino Puglisi, ucciso nel  1993. Non a caso il volume si chiude con una citazione del  primo documento dei vescovi siciliani in cui si enuncia il  principio secondo cui la mafia è incompatibile col Vangelo,  posizione poi ribadita da Benedetto XVI e Francesco. Per  poter leggere questo documento si è dovuto aspettare il 1994, l'anno  dopo l'omicidio del parroco di Brancaccio.

Un ritratto di don Puglisi collocato in Cattedrale a Palermo durante una mostra


(Giornale di Sicilia, 14 ottobre 2022)


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