martedì 22 aprile 2025

Papa Francesco: i tanti punti in comune con don Pino Puglisi


 


di Francesco Deliziosi


Il mondo dà l'addio a Papa Francesco e scopre la sensazione di vuoto dell'orfanità. Si è chiuso dopo 12 anni un Pontificato rivoluzionario e, forse proprio per questo, amato oppure osteggiato in pubblico come mai successo da secoli. A tutti, sostenitori e detrattori, viene meno un solido punto di riferimento. E tutti da ieri rendono omaggio (o l'onore delle armi) a un profeta dei tempi moderni con un progetto pastorale sin dall'inizio ben preciso: una Chiesa  «povera e per i poveri, un ospedale da campo» che porti accoglienza e misericordia in ogni parte della Terra e in ogni «periferia esistenziale». Una «Chiesa in uscita», dialogante con i laici e con le altre religioni, mobilitata per la pace mentre dilaga sempre più «la Terza Guerra mondiale a pezzi».

Il 13 marzo 2013 Jorge Mario Bergoglio, figlio di migranti italiani in Argentina, «dalla fine del mondo» sbarcò nel nostro Paese come Papa, innanzi tutto per difendere i diritti degli ultimi dalle violenze. E dalle sopraffazioni, in particolar modo, dei trafficanti di uomini e dei mafiosi di ogni latitudine. Per questo - memore delle sue origini familiari - volle dedicare ai migranti di oggi il primo viaggio, con la preghiera a Lampedusa (8 luglio 2013) per le migliaia di vittime nel Mediterraneo.  

Per questo a Palermo fu il protagonista di un intenso pellegrinaggio (15 settembre 2018) in memoria di don Pino Puglisi, il prete  delle periferie e dei giovani, ucciso 25 anni prima a Brancaccio dalla mafia che non sopportava la sua lezione di Amore e di liberazione delle coscienze. È proprio di Francesco, tra l'altro, la firma sul decreto di beatificazione come martire.

Questi due viaggi in Sicilia sono la cifra e il viatico per leggere in controluce un Pontificato lungo e profondo che ha davvero cambiato per sempre la vita dell'intera Chiesa cattolica. E ha trasformato l'atteggiamento ecclesiale nei confronti della mafia che - in un passato per fortuna ormai lontano, tra gli anni '50 e '70 - è stato anche appesantito da silenzi e sottovalutazioni.

Dopo le parole di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi (1993) e quelle di Benedetto XVI in visita a Palermo (2010), Papa Francesco da subito sgomberò il tavolo da ogni equivoco. Nella Giornata per le vittime della mafia del 21 marzo 2014, organizzata da Libera, Bergoglio si presentò nella parrocchia romana di San Gregorio VII mano nella mano con l’organizzatore, don Luigi Ciotti. In chiesa, circa novecento familiari in rappresentanza delle oltre quindicimila persone che hanno perso un loro caro per mano della violenza mafiosa. E tra loro anche i due fratelli di don Puglisi, Gaetano e Francesco. Ecco alcune frasi pronunciate da Bergoglio: «Uomini e donne di mafia, cambiate vita! Convertitevi, fermate di fare il male! Noi preghiamo per voi: convertitevi, ve lo chiedo in ginocchio, è per il vostro bene.  Convertitevi. C’è tempo per non finire nell’inferno!».

Con grande forza, per tutte le mafie, arrivò subito dopo l’anatema pronunciato dal Papa il 21 giugno 2014 durante la visita alla diocesi di Cassano allo Ionio in Calabria: la ’ndrangheta è «adorazione del male e disprezzo del bene comune», è un «male» che «va combattuto, va allontanato», anche dalla Chiesa che «deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere». E a Sibari Bergoglio a braccio (come fece Wojtyla ad Agrigento) scagliò la sentenza che tanti invocavano: gli uomini della ’ndrangheta, disse, «non sono in comunione con Dio, sono scomunicati». 

Tutto ciò venne confermato e ribadito con vigore al Foro Italico nell'omelia del 15 settembre 2018 per don Pino Puglisi, che è la prima vittima della mafia a diventare Beato. E d’altronde sarebbe piaciuto a Papa Francesco un prete come Puglisi, per i tanti punti di contatto tra le indicazioni pastorali per i sacerdoti che Bergoglio delineò da subito e la vita del sacerdote martire. Don Pino era «un prete povero che voleva una Chiesa per i poveri», esattamente come enunciato da Francesco nelle sue prime parole dopo l’elezione. Il parroco di Brancaccio inoltre conosceva «l’odore delle sue pecorelle» (altra splendida espressione di Bergoglio) e sapeva dove cercarle: nei vicoli sporchi, nei tuguri senza fognature. La sua era una scelta di povertà vissuta con consapevolezza francescana e non ostentata ma evidente a tutti. Il suo frigorifero era sempre vuoto ma la Provvidenza si manifestava immancabilmente sotto forma di un piatto caldo offerto da un vicino di casa o da una coppia di amici. In caso contrario don Pino mangiava scatolette. Anzi, mangiava “nelle” scatolette, senza neanche versare il contenuto nel piatto (così – spiegava – risparmiava tempo). E che emozione nel leggere delle abitudini alimentari di Bergoglio a Buenos Aires: anche lui mangiava scatolette…e aveva povertà e sobrietà sempre presenti nei comportamenti, pur con i paramenti di arcivescovo. Divenuto Papa, anche la scelta di vivere a Santa Marta e non negli sfarzosi appartamenti vaticani si spiega con questa linea. E si può fare ancora un parallelo con un’altra frase di Francesco che invitò i sacerdoti a «consumare la suola delle scarpe». Don Puglisi morì sotto casa con le scarpe rotte, la suola bucata.

Al Foro Italico, di fronte a centomila persone, Bergoglio scelse per l'omelia parole come pietre: «Quel che porta alla sconfitta è amare il proprio. Chi vive per il proprio perde. Sembrerebbe il contrario. Chi vive per sé, chi moltiplica i suoi fatturati, chi ha successo, chi soddisfa pienamente i propri bisogni appare vincente agli occhi del mondo. Eppure Gesù non è d’accordo. Secondo lui chi vive per sé non perde solo qualcosa, ma la vita intera; mentre chi si dona trova il senso della vita e vince». Questo certamente comporta una condanna senza appello delle logiche della mafia, il cui dio sulla terra sono i soldi e il potere. I picciuli come in dialetto sottolineò il Papa. La mafia è una forma emblematica ed estrema di questa ricerca del «proprio». Perciò è incompatibile in modo radicale col cristianesimo. «Non si può credere in Dio e sopraffare il fratello. Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano. Perciò ai mafiosi dico: cambiate, fratelli e sorelle! Convertitevi al vero Dio!».

Straordinaria assonanza con questa riflessione di don Puglisi: «Nella nostra società - diceva padre Pino ai suoi giovani durante un campo-scuola negli Anni Ottanta - un valore emergente è il potere, visto non come servizio verso gli altri, ma come mezzo per procurarsi il piacere. Il mondo presenta tutti questi controvalori, diffusi dove c’è il benessere, come cose che danno pace e felicità. Ma non è così. Il piacere non dà gioia. Ciò è provato dal frequente numero di suicidi, dall’abbondante uso di droga e alcol». «Gesù allora invita - aggiungeva padre Pino - ad avere fiducia in valori diversi rispetto al culto del potere. I cristiani veri non pongono la loro fiducia nei beni della terra. E infatti solo se il bene supremo è Dio, si saprà condividere il resto con gli altri, con i poveri».

Ma Papa Francesco a Palermo andò oltre. Alla condanna della mafia che molti si aspettavano aggiunse un respiro più ampio, che ha reso la sua omelia sconvolgente anche per chi con la mafia non ha nulla a che fare. E poteva perciò illudersi di ascoltare il Pontefice senza doversi rimettere in discussione. Non sono solo i mafiosi ad «amare il proprio». Sono in tanti a cercare di fare solo i propri interessi. Non uccidono nessuno, certo. Ma possono assistere senza nessun particolare scrupolo alla morte di altri. Il pensiero corre a quella «globalizzazione dell’indifferenza» che Papa Francesco denunziò a Lampedusa già nel 2013 e poi innumerevoli volte, piangendo sulla tragica sorte dei tanti uomini e donne, "fratelli nostri", che muoiono nel Mediterraneo. Da questa falsa innocenza il Pontefice mise in guardia non solo i mafiosi, ma tutti noi: «Dio ci liberi», disse, «dal pensare che tutto va bene se a me va bene, e l’altro si arrangi. Ci liberi dal crederci giusti se non facciamo nulla per contrastare l’ingiustizia. Ci liberi dal crederci buoni solo perché non facciamo nulla di male. Don Pino lo insegna: non viveva per farsi vedere, non viveva di appelli anti-mafia, e nemmeno si accontentava di non far nulla di male, ma seminava il bene, tanto bene. Ecco la vittoria della fede, che porta il sorriso di Dio sulle strade del mondo», concluse il Papa al Foro Italico. E poi andò a pranzare tra i migranti e i poveri della Missione di Biagio Conte.

Per questo la sensazione di vuoto e orfanità è oggi forte. In tutti. Papa Francesco ha trasmesso una eredità bella e terribile, ricca e inquietante, che la si voglia accogliere o contestare. Ha lasciato una Chiesa trasformata. E nulla potrà più essere come prima.

Giornale di Sicilia, 22 aprile 2025


#don Pino Puglisi #Papa Francesco #Chiesa e mafia

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