domenica 7 marzo 2021

Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto



di Francesco Deliziosi 

Nei giorni delle minacce, padre Pino Puglisi si trovò al tavolo di una pizzeria con i suoi collaboratori. La paura si toccava con mano dopo gli attentati. A fine giugno 1993 erano state incendiate nella stessa notte le porte di casa di tre volontari del Comitato intercondominiale di Brancaccio. 

Il parroco aveva subito telefonate e lettere anonime, un’aggressione fisica, gli avevano danneggiato l'auto. Una molotov era stata lanciata davanti alla chiesa. Anche io e mia moglie, che lo conoscevamo da 15 anni fin dai banchi del liceo, lo avevamo visto di mese in mese sempre più preoccupato e dimagrito, il suo famoso sorriso era come incrinato.

Doveva battezzare nostro figlio Emanuele e ci metteva fretta ogni volta che ne parlavamo: “Dobbiamo battezzarlo subito, subito”...L’ultima volta è successo alla fine della messa, tre giorni prima del delitto. Lui aveva capito che gli era rimasto poco tempo.
Quella sera in pizzeria padre Puglisi prese un pacchetto di stuzzicadenti, di quelli cilindrici, di plastica. Ne tirò fuori uno e disse a un amico: «Spezzalo!». E quello lo ruppe. Poi ne prese due insieme e disse: «Spezza questi due». E quello li spezzò con le mani. Infine padre Puglisi prese il mucchio degli altri stuzzicadenti e concluse: «Ora prova a spezzare tutti questi insieme!».
Insomma, voleva dire con un semplice esempio: l’unione fa la forza, stiamo uniti, non facciamo dilagare il panico. Per dirla con la sua frase più famosa che è diventata il titolo del mio libro: "Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto". Per questo la mafia dovette fermarlo, il 15 settembre del 1993: un sacrificio da ricordare. Ed è arrivato a Palermo proprio per questo Papa Francesco, a 25 anni dal delitto. La gente di Brancaccio si stava unendo, cresceva una nuova cultura della legalità illuminata dalla fede: ancora poco tempo e nessuno sarebbe più riuscito a spezzare la schiena ai volontari. «Non dobbiamo tacere», diceva don Pino a noi parrocchiani. E aggiungeva, citando San Paolo, "si Deus nobiscum, quis contra nos?". Se Dio è con noi chi sarà contro di noi?
Pochi mesi dopo aver benedetto le nostre nozze, nel 1990 era diventato parroco a Brancaccio, il quartiere dove era nato. Altri sei sacerdoti avevano rifiutato l'incarico prima di lui. Io e mia moglie, pur non abitando nella borgata, lo avevamo seguito per amicizia e solidarietà, cercando di dare una mano nelle innumerevoli attività che in poco tempo aveva avviato.
"Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?". Evidentemente i senza Dio o gli oppositori di Dio. Sta proprio in questa frase l’inizio della riflessione che ha condotto alla conclusione positiva nel maggio 2013 della Causa di beatificazione, di portata storica: don Puglisi è infatti la prima vittima di mafia di cui viene riconosciuto il martirio cristiano. E la causa è la prima - nella storia della Chiesa - in cui vengono utilizzati verbali di collaboratori di giustizia, atti di processi di mafia, ricostruzioni della magistratura sul periodo tra il '92 e il 93, crocevia delle stragi Falcone e Borsellino ma anche degli attentati alle chiese di Roma, a Firenze e Milano.
Il postulatore, mons. Vincenzo Bertolone (col quale ho collaborato) è riuscito a dimostrare come - col rituale di sangue dell’affiliazione, la "punciuta" del dito - i mafiosi di fatto rinnegano il battesimo cristiano. Scelgono di essere i rappresentanti di un’altra religione o meglio di una setta. Usurpando rituali e formule cristiane, la mafia crea un proprio sistema di potere in cui il Padrino ha preso il posto del Padre, con l'abilità di ammantarsi di forme di religiosità esteriori che vengono utilizzate per rafforzare il proprio dominio e l'influenza del clan sul territorio (vedi anche l'inchino di certe processioni). Stesso discorso per l'uso dei santini (da bruciare per il rito di iniziazione) o delle Bibbie trovate in molti covi, tra cui quello di Bernardo Provenzano.
In questa maniera si è superata una delle difficoltà: don Puglisi venne ucciso da mafiosi che solo formalmente risultano battezzati nella sua stessa chiesa a Brancaccio. Questo è il principio stabilito dalla Chiesa che ha portato alla sua beatificazione: mafia e Vangelo sono incompatibili, non si può essere insieme mafiosi e cristiani. Se i mafiosi uccidono un cristiano per far tacere la voce della sua fede, la vittima è un martire come le vittime del nazismo e del franchismo, come i missionari trucidati in Africa.
Sulla mafia padre Pino aveva le idee molto chiare. Nel libro riporto tutti i suoi scritti più significativi ed ecco una sua frase illuminante sull'essenza anti-cristiana del fenomeno: "Nella mafia si può riconoscere una di quelle strutture di peccato di cui parla Giovanni Paolo II nella Sollecitudo rei socialis (n. 36), cioè quelle realtà peccaminose che partendo dalla responsabilità dei singoli si allargano, si consolidano, si stabilizzano come un peccato diffuso e diventano situazioni condizionanti la libertà o la condotta degli altri». E ancora: «Quella mafiosa non è solo una società (clan o cosca o famiglia), è a suo modo una cultura, un’etica, un linguaggio, un costume. Malgrado tutte le sue mimetizzazioni, si tratta di una cultura anti-evangelica e anti-cristiana, addirittura, per certi aspetti, satanica: essa stravolge termini che indicano valori positivi e cristiani come famiglia, amicizia, solidarietà, onore, dignità. Li carica di significati diametralmente opposti a quelli cristiani allo scopo di dominare con la prepotenza, la complicità, l’asservimento e il disprezzo dell’altro, il diritto-dovere di farsi giustizia da sé».
Così si è giunti, con la beatificazione, a riconoscere che abbiamo avuto tra noi, a Palermo, un nuovo profeta. Padre Puglisi ha donato alla sua Chiesa una maturazione di coscienza, una diversa e più avanzata valutazione del pericolo che rappresenta la mafia. Col suo sangue ha lavato silenzi, sottovalutazioni e coabitazioni del passato. E se la Chiesa, tutta la Chiesa, saprà fare propria questa lezione, allora per davvero la figura del piccolo prete di Brancaccio, caduto sotto i colpi della violenza omicida, non porterà più su di sè i segni cruenti della sconfitta, ma le stimmate di una dignità feconda, carica della forza della risurrezione e del futuro.

Articolo chiesto e pubblicato dal blog Mafie di Repubblica, a cura di Attilio Bolzoni, per presentare il libro "Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto" (Rizzoli-prefazione di don Corrado Lorefice). I diritti d'autore sono devoluti in beneficenza.



 

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