sabato 11 luglio 2020

Da sconosciuto prete di periferia agli altari




di Francesco Deliziosi

Da sconosciuto prete di periferia a Beato della Chiesa cattolica, citato più volte da tre Papi in Sicilia. Padre Pino Puglisi, 3P per i suoi giovani, si sarebbe di certo schermito, opponendo uno dei suoi proverbiali sorrisi a cotanto omaggio ecclesiale. Nella sua modestia avrebbe preferito restare tra i suoi bambini di Brancaccio piuttosto che ascendere agli altari. Infatti, quando qualcuno gli si avvicinava chiamandolo "monsignore...", rispondeva: "Monsignore lo dici a tuo padre", anzi "a to' patri". Ma i mafiosi che lo affrontarono sotto casa il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno, non gli diedero scelta, uccidendolo con un colpo alla testa.

Quella sera ero al lavoro in redazione al Giornale di Sicilia e cominciarono ad arrivare le telefonate dei corrispondenti dei quotidiani nazionali. Tutti i colleghi mi chiedevano: "Ma chi era questo padre Puglisi?". Perché si era sparsa la voce che ero uno dei pochi a conoscerlo. Scrissi un suo profilo, quello che in gergo è chiamato coccodrillo. Ma le lacrime non erano finte.
Per mio tramite, proprio sul Giornale di Sicilia, ai primi di luglio di quell'anno, era stata pubblicata l'unica intervista di padre Pino (a firma di Delia Parrinello) in cui il sacerdote raccontava il clima di minacce e intimidazioni a Brancaccio. Dopo quell'articolo gli fu offerta una scorta, ma lui la rifiutò.
Parlò di lui Giovanni Paolo II ai primi di novembre del '94, a Catania e Siracusa (quarta delle cinque visite di Wojtyla in Sicilia), definendolo "coraggioso testimone del Vangelo". E in colloqui privati con i biografi il Papa si disse consapevole di un probabile collegamento (una vendetta) tra l'omicidio di Puglisi e il suo famoso "Convertitevi!" rivolto ai mafiosi a maggio dello stesso 1993 dalla Valle dei Templi.
Nel '98 il cardinale Salvatore De Giorgi avviò la causa di beatificazione, che ebbe l'impulso decisivo con la nomina, da parte del cardinale Paolo Romeo, del nuovo postulatore, mons. Vincenzo Bertolone, col quale ho avuto l'onore di collaborare nella raccolta di documenti e testimonianze. Fino a dissipare i dubbi della Congregazione per le cause dei santi. Fu Benedetto XVI a seguire da vicino l'iter del riconoscimento del martirio di Pino Puglisi, di cui il Pontefice tedesco parlò con accenti commossi durante la visita a Palermo (3 ottobre 2010). Ed è infine toccato a Papa Francesco firmare il decreto della beatificazione (proclamata il 25 maggio 2013) per poi venire a onorare la sua memoria in Sicilia il 15 settembre 2018 per il 25° del delitto.
Sarebbe piaciuto a Bergoglio un prete come Pino Puglisi. Un prete «povero che voleva una Chiesa per i poveri». Il sacerdote conosceva «l’odore delle sue pecore» (altra splendida espressione di Francesco) e sapeva dove cercarle: nei vicoli sporchi, nei tuguri senza fogne. Amava gli «scarti» della società, come i migranti che il Papa è andato a commemorare a Lampedusa, primo viaggio in Sicilia e in assoluto, all'alba del suo Pontificato rivoluzionario e (forse proprio per questo) tanto discusso.
La scelta di padre Puglisi era di una povertà vissuta con consapevolezza francescana e non ostentata ma evidente a tutti. Non aveva conto in banca, viveva in una casa popolare in affitto piena solo di libri, aveva una mal ridotta Fiat Uno rossa, comprata al mercato dell'usato. Il suo stipendio di insegnante serviva a pagare il mutuo che era stato acceso per acquistare la palazzina del centro Padre Nostro. Aveva il serbatoio dell’auto sempre pieno (per poter accorrere dove era necessario il suo aiuto, anche di notte). E il suo frigorifero invece era sempre vuoto. Ma la Provvidenza si manifestava immancabilmente sotto forma di un piatto caldo offerto da un amico.
E si può fare ancora un parallelo con quanto detto da Papa Francesco che ha invitato i sacerdoti a «consumare la suola delle scarpe». Padre Puglisi morì infatti con le scarpe rotte. Gli amici che videro il suo corpo riverso per strada ricordano ancora quelle suole bucate. E dire che il sacerdote, figlio di un calzolaio, avrebbe saputo ripararle, quelle scarpe vecchie. Ma il suo tempo era tutto donato agli altri, non lasciava per sé neanche quei pochi minuti necessari per risuolare i suoi consunti mocassini.
Con grande coraggio e coerenza il sacerdote mise alla porta gli organizzatori di feste di piazza pseudo-religiose che costavano decine di milioni di lire. Stesso destino per i politici collusi che utilizzavano la parrocchia come grancassa elettorale. Cambiò il percorso della processione per evitare «l'inchino» davanti alla casa dei boss, i fratelli Graviano. Rifiutò offerte da imprenditori complici dei mafiosi, organizzò manifestazioni per ricordare Falcone e Borsellino.
In una sua conferenza emerge una analisi acuta e profetica: «Malgrado tutte le sue mimetizzazioni, la mafia è una cultura e una mentalità antievangelica e anticristiana, addirittura, per tanti aspetti, satanica: essa falsa termini che indicano valori positivi e cristiani come famiglia, amicizia, solidarietà, onore, dignità, li distorce e li carica di significati diametralmente opposti a quelli cristiani». Solo anni e anni dopo i vescovi sono arrivati su queste posizioni a proposito degli «inchini» delle processioni e della mafia, definita incompatibile col Vangelo: quanto cammino, grazie al sangue di 3P, rispetto ai silenzi e alle colpevoli sottovalutazioni della Chiesa negli anni '50, '60 e oltre.
Per questa sua opera instancabile di evangelizzatore ed educatore dei giovani, padre Pino fu ucciso. Gli assassini hanno «odiato la sua fede». E il sacerdote è diventato la prima vittima della mafia a essere martire della Chiesa. Il 15 settembre 1993 è un punto di svolta. Per arrivare alla proclamazione del martirio è stato infatti necessario stabilire che i mafiosi (col rito di affiliazione, la «punciuta») rinnegano il battesimo cristiano ed entrano a far parte di un'altra religione, in cui il Padrino ha preso il posto del Padre. Il martirio ha finalmente gettato fuori dal Tempio i mafiosi. Subito dopo la beatificazione, Bergoglio ha invitato così i mafiosi alla conversione: «Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà però è lui che ha vinto, con Cristo risorto».

Giornale di Sicilia 7 giugno 2020 (Speciale 160 anni)

Il giornalista è autore dei libri "Pino Puglisi, il prete che fece tremare la mafia con un sorriso", riconosciuta come la biografia più completa, e "Se ognuno fa qualcosa si può fare molto" (che raccoglie gli scritti del sacerdote-martire). Entrambi i volumi sono pubblicati da Rizzoli, i diritti d'autore sono devoluti in beneficenza. 

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