lunedì 4 marzo 2019

DUECENTO RAGAZZI SICILIANI "INCONTRANO" DON PINO PUGLISI

Il gruppo dei 200 ragazzi siciliani davanti alla cattedrale

Circa 200 ragazzi siciliani hanno ripercorso a febbraio 2019 i luoghi di don Pino Puglisi a Palermo. L'occasione era la "promessa", pronunciata poi in cattedrale, per iniziare il percorso di crescita religiosa all'interno del cammino previsto da Comunione e Liberazione. Dagli organizzatori riceviamo e pubblichiamo questo articolo che racconta la loro esperienza e conoscenza con don Pino.  

 

Che l’esperienza centrale dell’amicizia fra adulti e ragazzi delle medie sia la Promessa, è una evidenza. Di per sé l’esperienza dei Cavalieri è il luogo di una testimonianza che si dilata dall’incontro settimanale col gruppetto, alle famiglie dei ragazzi, che molto spesso, affascinati dalla proposta fatta ai loro figli arrivano a chiedere se c’è un “Graal” anche per loro, ai parroci che ci ospitano in parrocchia, insomma è qualcosa di talmente bello che ciascuno sente di doverne partecipare. 
La Promessa però è come il punto di emergenza privilegiato di questa vita. Te ne accorgi dalla scia di fatti sempre nuovi e inaspettati che ogni anno si accendono attorno a questo avvenimento, che a poco a poco diventa una cometa che sembra annunciare a tutti che la vita di nessuno è fatta per restare nell’ombra. In più di duecento quest’anno ci siamo ritrovati a Palermo e insieme a noi, come da previsioni, arriva una bufera di vento di tramontana e di pioggia. La hall dell’albergo si riempie di attesa, rumorosa e scomposta nei veterani, impacciata e meravigliata nei piccoli che arrivano per la prima volta. Non vi sorprenda se tutto quello che chiedono nell’immediato è di prendere possesso delle loro stanze. E si comincia da qui e non da altro, con Gaetano che legge un breve stralcio della lettera che Simone, undici anni, ha scritto per chiedere di fare la Promessa: “per me i Cavalieri sono conoscere la vita ma più in grande. Ho scelto di fare la Promessa per sentire ancora di più quella presenza di allegria e di tristezza che mi prende quando sono ai Cavalieri”. 
Il più piccolo ci ricorda cosa siamo venuti a cercare sulle orme di 3P, padre Pino Puglisi, che fin da piccolo aveva presagito che il cuore dell’uomo è fatto per questa grandezza, per essere amato, ri-conosciuto da una grande Presenza e il suo cuore si era talmente lasciato conquistare, da dilatarsi e farci entrare il mondo intero nell’ultimo sorriso donato al suo assassino. 
Nel pomeriggio, per come ci è concesso dall’arrivo della neve a Palermo, andiamo a Brancaccio, sul luogo del martirio ed è proprio passando dal luogo del martirio che abbiamo accesso alla sua casa e alla sua vita che si racconta in un mobile da cui viene fuori il lettino dove padre Pino dormiva in una piccola stanzetta per fare compagnia durante la notte al suo papà che non stava più bene, in un piccolo studio ancora affollato di libri nonostante ne avesse regalato a centinaia ai giovani che incontrava, perché era sua abitudine, quando un giovane gli poneva una domanda regalargli un libro che secondo lui poteva essergli di aiuto, per poi invitarlo a rincontrarsi dopo averlo letto. Di libri, alla sua morte, in quella casa ne hanno ritrovati circa seimila, stipati anche nel forno. 
Alcuni degli organizzatori col giornalista Francesco Deliziosi e la moglie Maria Mattina (prima a sinistra)


Che ciò potesse essere vero ce lo conferma Francesco Deliziosi, caporedattore del Giornale di Sicilia, che l’indomani mattina ci raggiungerà insieme a sua moglie Maria, per raccontarci della loro amicizia con padre Pino, cominciata quando erano studenti al liceo e Padre Pino insegnava religione. “Don Pino ci diceva sempre che poteva capitare che il suo frigo fosse vuoto, ma il serbatoio della sua auto doveva essere sempre pieno per poter raggiungere noi ragazzi se gli chiedevamo di essere ascoltati, a qualsiasi ora del giorno e della notte, e per questo era un ritardatario cronico”. 
Francesco e Maria sono visibilmente commossi per il dono di un punto affettivo a cui poter affidare tutto di sé. E’ chiaro che quel punto affettivo da cui si sono sentiti ascoltati, accolti e amati è Padre Pino, la cui presenza in mezzo a loro era una eccedenza, un surplus di realtà: l’invito a godere di una Paternità vera e grande, che vince “per te” anche la morte. Diamo uno sguardo alla sala per vedere cosa sta accadendo nei ragazzi. Qualcuno si alza ed esce, altri sembrano attenti, ma i più sembrano sonnecchiare sulle loro poltrone. Proviamo un grande dispiacere e la preoccupazione di sapere che di li a poco gli sarà chiesto se hanno domande da fare. Il timido applauso sembra confermare il nostro sospetto, ma alla richiesta, ecco la prima timida domanda e poi a seguire cosi tante da doverle raggruppare ed ad un certo punto persino mortificare perché davvero non c’è piu tempo. I ragazzi chiedono come reagiva don Pino davanti ai loro fallimenti, ai compiti non fatti, alle delusioni che i suoi ragazzi gli davano e come avessero reagito alla notizia della sua morte e di quell’ultimo sorriso. 
Insomma chiedono a partire da fatti che investono la loro vita tutti i giorni, dagli insuccessi alla sofferenza per la morte di una persona cara, di un amore invincibile alla loro vita che si doni in un sorriso quando tutto sembra perso, perché solo se si è amati si può vivere una vita alla grande. Chiedono perché hanno già intravisto la grande Presenza che solo può rispondere. Dopo il pranzo ci ritroviamo nella hall per avviarci in Cattedrale, dove don Carmelo ci attende con il suo sorriso, che porta la stessa impronta di quello di padre Pino. Mentre diamo le ultime indicazioni due chiacchiere con un signore che sembra essere il direttore dell’albergo, e invece è solo il maître, per lamentarci del fatto che qualche adulto ha dormito su una brandina. Lui ci chiede scusa e vorrebbe rimediare ma noi stiamo per lasciare l’albergo e allora ci invita a prendere il caffè. 
Si siede al tavolo con noi ed è occasione raccontargli quanto sia importante per noi curare i gesti nei particolari e di come questo richieda anche la fatica e la bellezza di chiedere un coinvolgimento in chi, a vario titolo, ci ospita. Ci salutiamo cordialmente e solo a fine giornata sapremo che il maître, calcisticamente parlando, “ai calci di rigore”, cioè negli ultimi istanti della nostra permanenza in albergo, incrocerà al bar alcuni dei nostri ragazzi e li tratterrà, fino a che può, chiedendogli perché sono lì, chi sono gli adulti che li accompagnano per poi raccontare dei suoi due figli ormai grandi e di quanto avrebbe voluto che incontrassero una cosa bella così. I ragazzi lo guardano stupiti e quando ce lo raccontano dicono: il maître dell’albergo ora è un Cavaliere!  

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