sabato 5 dicembre 2015

LOREFICE E' ARCIVESCOVO: DON PUGLISI TESTIMONE DEL VANGELO E DELL'ACCOGLIENZA


Mons. Corrado Lorefice ha voluto ricordare ancora una volta don Pino Puglisi nel discorso alla città di Palermo pronunciato ieri a piazza Pretoria - visibilmente commosso - prima dell'ordinazione episcopale. Ne ha poi parlato ancora dopo la cerimonia ed è rimasto in preghiera presso l'altare della Cattedrale che accoglie le spoglie del Beato in una tomba a forma di spiga di grano. Nel suo primo discorso davanti a Palazzo delle Aquile il nuovo arcivescovo ha voluto inserire anche un significativo (e laico) richiamo alla nostra Costituzione a proposito dell'uguaglianza sociale dei cittadini. In questo aderendo a quella passione per il riscatto sociale degli emarginati che fu uno dei tratti caratteristici dell'impegno di padre Puglisi che "ci ha fatto capire che cosa significhi testimoniare semplicemente il Vangelo come parola dell’accoglienza di tutti". Ecco il testo integrale dell'intervento di mons. Lorefice. O meglio di don Corrado, come vuole continuare a farsi chiamare.


Discorso alla Città di Palermo
di S.E.R. Mons. Corrado Lorefice
Piazza Pretoria 5 dicembre 2015


Ben trovati. Buonasera a tutti. A tutti giunga questo mio saluto. E’ il nostro primo incontro, carissimi fratelli e amici di Palermo. Qui la città intera oggi converge, rappresentata in tutte le sue istituzioni, a cui ricambio l’accoglienza affettuosa, e che ringrazio nella persona del Sindaco Leoluca Orlando. I nostri occhi sono ricolmi di gioia e di gratitudine. 

I miei, anzitutto, che si trovano a contemplare, ad ammirare la grandezza di una città che ora è la mia, che dico ‘mia’ dal profondo, e che riconosco stasera - lasciatemelo dire cominciando la mia avventura qui, tra di voi - che riconosco stasera nella sua dignità di grande capitale europea, nella sua tradizione illustre di arte e di bellezza, nella sua natura originaria di culla di civiltà, di spazio umano felicemente contaminato da popoli e da culture diverse. 
Qui Oriente e Occidente davvero si sono incontrati. Qui si sono gettate le basi della letteratura italiana, ovvero della prima, secolare forma di unità del nostro paese sotto il segno della poesia. Io, che approdo qui da altri luoghi di una Sicilia dai cento volti, sento tutto questo. Sento l’esigenza di ricordare a tutti noi, anzitutto, la vocazione di pace, di incontro, di unità nel dialogo e nello scambio, che Palermo si porta scritta nel cuore. L’esigenza di ricordare la sua natura di ponte tra le culture - araba, ebraica e cristiana - in un tempo storico così difficile, in cui tanti evocano e auspicano un folle scontro di civiltà. Di ricordare la sua storia di nucleo antico di un’unità profonda della nostra Italia, in un tempo in cui si accentuano e si costruiscono spesso motivi di divisione, di assurda frammentazione, di separazione tra il Nord e il Sud del nostro paese. 
 Care Cittadine, Cari Cittadini di Palermo, ricordatevi, ricordiamoci di tutto questo. Ricordiamoci di essere un popolo che nel suo DNA ha la grandezza e il potere della relazione, la ricerca della pace e non della guerra, l’esaltazione della bellezza e non la distruzione del conflitto intestino, lo star bene insieme nella prosperità e nella gioia e non l’inimicizia e l’ingiustizia. Dobbiamo sentire in questa storia millenaria della nostra Città una chiamata, un’urgenza, una spinta forte a lavorare in un orizzonte ampio e ad essere costruttori di pace, donne e uomini di giustizia. 
 Certo, non mi nascondo il fatto che la bellezza della nostra Palermo appare oggi spesso ferita, la sua antica grandezza afflitta da contraddizioni, la sua civiltà gloriosa piagata dalla violenza e dal sopruso. Ma io stasera sono qui per fare mio anche tutto questo, per farmi carico con voi di tutto questo. Sono qui per accogliere umilmente e valorizzare con passione i segni del bene, del tanto bene diffuso da tutte le donne e gli uomini di buona volontà, che già da tempo lavorano per la bellezza di Palermo. Perché nella sua storia questa Città porta sempre disponibili i semi della sua rinascita, del suo possibile ritorno ad essere principio e guida di una Sicilia diversa, di una Sicilia libera dai lacci della mafia e di tutte le mafie, dai veleni del clientelismo e del cinismo, dalla disillusione e dalla disperazione dei giovani costretti a partire e degli adulti senza lavoro, libera dalla difficoltà economica e dalle contraddizioni sociali, dalla povertà e dall’ingiustizia, dal pressappochismo e dalla rassegnazione
Di una Sicilia che sia la terra della festa, della memoria viva degli anziani, dell’operosità vigile degli adulti, del sogno incantato dei bambini, che sono l’immagine del nostro futuro, e in questo nostri maestri. Sia chiaro. Vi dico tutto questo non da politico, o peggio, da moralista. 
Ve lo dico a partire dal Vangelo che sono chiamato a portarvi, che Papa Francesco (non possiamo non rivolgergli insieme, in questo momento, un pensiero colmo di gratitudine per il suo modo di essere nel mondo testimone del Vangelo), che Francesco mi ha chiamato a portarvi. E, proprio in forza del Vangelo, ve lo dico come uno di voi. Perché in forza del Vangelo il vescovo è chiamato, insieme con tutti i cristiani, a stare accanto ad ognuno di voi, accanto alla vostra storia che è la stessa storia della comunità cristiana, accanto al vostro dolore e al vostro desiderio di riscatto che è il mio e il nostro. Voglio stare in mezzo a voi così. So che la chiesa di Palermo abita e vuole abitare questa storia così. Nella semplicità, nel servizio affettuoso, nell’apertura calda e serena. I cristiani non hanno nulla di più e di diverso dagli altri. Vivono le ansie e le sofferenze della storia, quelli che Paolo chiamava i «gemiti della creazione» (Rm 8, 22) come tutti. E come tutti attendono una liberazione e un riscatto, lavorando insieme ad ogni donna e a ogni uomo, di qualunque fede, cultura o estrazione essi siano, alacremente e nella speranza. E noi lo sappiamo che cosa significa tutto ciò, in concreto: don Pino Puglisi ce ne ha mostrato l’icona, ci ha fatto capire che cosa significhi testimoniare semplicemente il Vangelo come parola dell’accoglienza di tutti.
In questo cammino comune, che unisce tutti al di là di ogni steccato, la nostra bussola, la bussola di ogni cittadino di questo nostro Paese, io credo debba essere la Costituzione della Repubblica italiana. Sia, questa bussola, per me per primo, quell’articolo 3 della nostra Costituzione - così amato e difeso da Giuseppe Dossetti alla fine della sua vita - quell’articolo 3 che come cittadini, ognuno nella propria responsabilità e nel proprio ruolo, siamo chiamati a rendere reale nella nostra pratica quotidiana, nella nostra vita di ogni giorno: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica (ovvero di ognuno di noi e delle istituzioni dello Stato) rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». 
 E per realizzare tutto questo, Palermo ha un’energia speciale, un forza potente: quella di tanti testimoni della verità e della giustizia che hanno effuso il loro sangue per creare una convivenza più giusta e più umana, per dire di no alla violenza e al sopruso, ai poteri che puntano a distruggere l’uomo e a cancellarne la dignità
Concludo mandandovi un abbraccio affettuoso, un saluto pieno di cordialità. Che entri in tutte le case, li dove in questo momento si gioisce e si soffre. Arrivi a tutti un augurio di bene in questa ora della nostra giornata umana. Il saluto cordiale, affettuoso e sincero, segni sempre i nostri incontri. Lo sguardo di chi incrociamo riempia sempre di gratitudine i nostri occhi e il nostro cuore. Io sono qui per ascoltarlo, il vostro cuore, per ascoltare che cosa ciascuno di voi si porta dentro, che cosa porta nel cuore questa amata città. Ma sono qui con voi stasera, anzitutto, perché voi possiate ascoltare cosa io custodisco nel mio cuore mentre mi accingo ad essere uno di voi, un concittadino, un palermitano come voi, a diventare per voi amico fratello e padre. 
Per questo vi chiedo di fare – memori di quell’invito rivolto da papa Francesco all’inizio del suo ministero come vescovo di Roma - un momento di assoluto silenzio, per ascoltarci reciprocamente, perché il silenzio ci nutre e ci aiuta ad incontrarci nella verità. In cattedrale vi darò la benedizione, la prima benedizione come vostro vescovo. Mi impegno fin da ora a benedire la città e la diocesi intera tutte le mattine quando mi leverò e tutte le sere prima di coricarmi. Perché siate custoditi, perché non manchi il pane, l’affetto vero, la pace, e perché Palermo diventi sempre più vivibile, più umana, più bella. 
Come amava affermare il card. Salvatore Pappalardo: «La pace si procura imprimendo alla vita la disciplina della verità, il culto dell’onestà, l’impegno delle Solidarietà». Nel mio stemma episcopale ho voluto mettere la croce dei certosini. È una croce che avvolge, che abbraccia il mondo. Ognuno di voi, anche chi non è credente o chi vive un’altra esperienza religiosa, tutti, tutti sentite l’abbraccio di Cristo, colui che, secondo quanto ci viene narrato dai Vangeli, ha tanto amato il mondo da dare la sua vita in favore di ogni uomo e di ogni donna (cf. Gv 3, 16). Ma sentite anche l’abbraccio di don Corrado che oggi viene consacrato vescovo, successore degli apostoli di Gesù in questa e per questa amata città di Palermo. Buona strada a tutti!

1 commento:

  1. "Ascoltare vuol dire dunque saper guardare al passato, custodire la memoria...
    La memoria di una terra che è stata terra del martirio di Piersanti Mattarella e di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Rosario Livatino e di Peppino Impastato, di Giovanni Falcone e di Francesca Morvillo e di Paolo Borsellino e degli eroi umili delle loro scorte, di uomini e donne che, insieme ai tanti altri, esprimono il sussulto di dignità e il profondo desiderio di giustizia di questa terra violata e violentata, dominata a volte da potenze straniere ma soprattutto sfigurata dalle forme perverse di dominio germinato nella sua stessa carne...
    Desidero che sia chiaro. Coltivare la memoria, custodirla fedelmente, non vuol dire dare riconoscimenti puramente formali, né tantomeno ideologici. Per un vescovo, per il vescovo che io vorrei essere tra di voi, custodire la memoria equivale a rimanere in stretto contatto con le vite, i corpi, le esperienze di amore e di dolore che sono il vero humus di questa terra. Significa sentirle e farle sentire vive, accompagnarle con partecipazione e con affetto. Vuol dire farsi scudo e garante di ciò che è bene e che fruttifica. Vuol dire essere dalla parte dei poveri, a cui voglio stare accanto e che avrò sempre come bussola della mia vita in mezzo a voi... E questo comporta per me fare argine concretamente, con forza, insieme con voi e con tutto me stesso, ai «poteri di questo mondo» che vogliono annientare la dignità e la bellezza del nostro essere uomini. Perché questo è la mafia e questo sono tutte le mafie, in ogni forma e in ogni parte del mondo: l’opera di gente che ha perso di vista il volto dell’altro, che è pronta a calpestarlo perché vive nella costante strumentalizzazione di ogni essere...". (dal discorso in Cattedrale, 5 dicembre 2015)

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