venerdì 15 maggio 2015

TESTIMONIANZA DAL CONGO. PADRE GASPARE: PINO PUGLISI COME IL CHICCO DI GRANO CHE MUORE E DA' GRANDE FRUTTO

Padre Gaspare Di Vincenzo è un missionario comboniano impegnato in Congo, un paese dilaniato dalla guerra civile, dove la violenza dell'estremismo islamista aggrava una situazione di povertà estrema, minacciando l'esistenza stessa delle comunità cristiane. Non sono rari, purtroppo, i casi di sacerdoti e credenti vittime di violenza o crocifissi come gli antichi martiri. Per il nostro blog, padre Gaspare ha trovato il tempo di scrivere questa toccante testimonianza: è stato infatti tra i più stretti collaboratori di padre Puglisi sul finire degli anni Ottanta, all'epoca della sua conduzione del Centro diocesano vocazioni (Cdv). Con 3P ha condiviso il cammino della pastorale vocazionale nella Chiesa palermitana, non sempre agevole e non sempre compreso da tutti i sacerdoti. Padre Gaspare racconta anche la sua reazione alla notizia del delitto, la sua partecipazione ai funerali (portò a spalla la bara). Poi, a Licata, subito dopo ha fondato l'associazione giovanile "Centro 3P" che in questi anni ha aiutato un numero enorme di disagiati e migranti. Infine il ritorno in Congo da dove ci giunge questo splendido scritto che condividiamo con gioia.

di padre Gaspare Di Vincenzo

Ritornavo dallo Zaire, l’odierna Repubblica Democratica del Congo, dopo circa 10 anni di missione per aprire, insieme a p. Vittorio Ferronato, anche lui proveniente dallo Zaire, una nostra presenza stabile di missionari comboniani a Palermo per l’animazione missionaria e vocazionale. Era il mese di settembre  del 1988 quando mettemmo piede a Palermo nei locali attigui alla chiesa Madonna della Catena. Da qui, per motivi diversi, abbiamo dovuto cambiare in un anno cinque residenze finché approdammo in locali in affitto presso le Suore del Buon Pastore in via Riserva Reale. La missione ci aveva preparati a vivere dell’essenziale per fare e rifare il fagottino e spostarci nelle varie residenze. Vita da nomadi. Oltretutto fa parte del carisma Comboniano vivere la missione nel « fare causa comune » tra i popoli a cui si è mandati e soprattutto con i più poveri e abbandonati.
In questo contesto palermitano c’è da aggiungere che provenendo dalla missione dello Zaire avevo vissuto un’esperienza esaltante e difficile nello stesso tempo. Infatti avevo conosciuto il carcere, gli arresti domiciliari, un processo e l’espulsione della missione per 19 capi d’accusa, tutti inventati. Processo che poi ho vinto e che mi ha permesso di rientrare in missione.
Dopo qualche mese del nostro arrivo a Palermo incontro l’uomo, il sacerdote e l’amico, padre Pino Puglisi, 3P. Lui era l’incaricato diocesano, per Palermo, e regionale, per la Sicilia, dell’animazione vocazionale e io lo ero per i missionari comboniani. Ci trovavamo con i rappresentanti di altre famiglie religiose in via Matteo Bonello per preparare gli incontri di preghiera vocazionale che mensilmente si vivevano al Gonzaga, dai Gesuiti. Con la sua macchina ci recavamo agli incontri regionali e ai campi scuola con i giovani. Ricordo molto bene l’accoglienza, la stima e la fiducia che ebbi da subito e che mi aiutarono a superare certe difficoltà di inserimento nella realtà palermitana che per me era del tutto nuova, come anche nella realtà siciliana che avevo lasciato da diversi anni, dal 1972, quando, entrando tra i comboniani, iniziai a Firenze i miei studi di teologia.
Dicevo che la mia esperienza di missione esaltante e difficile nello stesso tempo mi aveva segnato profondamente e psicologicamente facevo una certa fatica ad inserirmi. Vivevo una mancanza di fiducia in me stesso. Ma l’uomo, il sacerdote e l’amico, 3P, che incontrai, per me fu determinante con il suo modo di fare e di rendersi presente discretamente ma incisivamente a recuperare fiducia in me stesso. Non ci dicemmo molte parole, ma lui ha subito capito il mio stato d’animo e mi diede fiducia mettendosi all’ascolto di piccole proposte da realizzare e vivere insieme. 
Una delle prime cose che gli proposi timidamente per l’animazione vocazionale fu quando gli dissi: "Don Pino, guarda che ogni vocazione è per le missione". E lui subito, prontamente mi rispose: "Lo vedi come il Signore ci vuole bene, era necessario il tuo arrivo e la tua presenza per scoprire e vivere che ogni vocazione è per la missione, bene aiutaci a scoprire questo dato essenziale"
Il cardinale Pappalardo celebra la messa con padre Puglisi

E dopo qualche giorno sono stato invitato alla presenza del Cardinale Salvatore Pappalardo al consiglio presbiterale della diocesi di Palermo per parlare della missione, dei due polmoni della missione con i quali la chiesa respira: ad intra e ad extra. Per la prima volta nella mia vita  mi son trovato a fare una conferenza ai sacerdoti. Così pure nel preparare gli incontri di preghiera vocazionale, 3P aveva sempre questa attenzione nel chiedermi quale degli aspetti della missione si potevano inserire nell’uno o nell’altro tema scelto.  Per me tutto ciò è stato vitale grazie all’uomo, al sacerdote e all’amico sempre attento alle varie proposte da me suggerite. Vitale per un inserimento gioioso e libero nel contesto della chiesa palermitana e siciliana. Vitale per un inserimento anche nella pastorale giovanile della diocesi con don Carmelo Torcivia. Fino a proporre e vivere un musical, «Forza venite genti», nella cattedrale di Palermo, che vide, a detta del cardinale Pappalardo, per la prima volta tanti giovani provenienti da tutte le parrocchie. Da allora gli incontri di preghiera vocazionale mensili si spostarono dal Gonzaga in Cattedrale.
Ricordo che, quando nel gennaio del 1993 lasciai Palermo e andai a salutare il cardinale Pappalardo ebbe a dirmi: «Puoi ripartire felice per il servizio reso alla nostra chiesa palermitana». Gli risposi che dovevo molto a don Pino per la fiducia e la stima che mi ha mostrato.
Dopo qualche mese a Roma per un corso, in agosto del 1993 chiesi ai miei superiori di recarmi a Licata, a causa della precarietà della salute dei miei genitori, per rendergli servizio.
Arrivando a Licata, il vescovo di Agrigento Mons. Carmelo Ferraro mi ha incaricato della pastorale giovanile della città e grazie a tutta l’esperienza acquisita con 3P organizzai da subito alcuni giorni di mini-campo con i giovani delle varie parrocchie di Licata per riflettere insieme e avviare un servizio pastorale con e per i giovani della città.
Era la sera del 15 settembre del 1993, quando trovandomi all’inizio di questa esperienza con i giovani a Licata, giunse la notizia dell’assassinio di P. Pino Puglisi a Palermo. Lascio i giovani e parto subito per Palermo a trovare l’uomo, il sacerdote e l’amico che una mano assassina mi aveva tolto.
Partecipai ai funerali e fui uno dei sacerdoti a portare sulle spalle, lungo tutto il percorso, il feretro con la mano destra alzata in segno di vittoria. 

Si, l’uomo, il sacerdote e l’amico non mi era stato tolto, ma l’uomo, il sacerdote e l’amico ha dato la vita come il suo Signore. Ho subito colto in questo evento : il chicco di grano che caduto in terra porta molto frutto. Infatti Gesù in questo passaggio del vangelo di Giovanni parla della sua morte, parla anche della morte di ogni persona e ci manifesta un’importante verità. Il chicco di grano ha in se stesso delle energie che hanno bisogno di trovare il luogo ideale per liberarsi e manifestarsi. Se il chicco di grano resta solo allora non produce niente. E qui l’evangelista vuole farci comprendere che in ogni persona ci sono delle capacità e delle potenzialità che non si liberano che attraverso se stesse. E Gesù getta una luce positiva sulla morte. In ogni persona c’è una energia vitale che aspetta di manifestarsi in una maniera del tutto nuova, e la morte è il momento che lo permette. Dunque la morte, invece di imprigionare la persona la libera. La morte non diminuisce la persona ma centuplica la sua forza. La morte non imprigiona la persona ma la dilata. In ogni persona ci sono delle potenzialità che possono liberarsi e fiorire soltanto nel momento della morte. Gesù toglie dalla morte ogni elemento negativo di distruzione della persona e ne parla in termini di fioritura della vita. E qui c’è tutto l’insegnamento delle beatitudini evangeliche che sono state il programma di vita di 3P. Chi vive le beatitudini entra in una pienezza di vita che la morte non può spezzare.  (Carissimo Francesco Deliziosi, ti ringrazio e te ne sono grato per aver pubblicato di recente su facebook alcune catechesi di 3P sulle beatitudini).
Rientrando a Licata, trovo i giovani ancora in riflessione e gli propongo di dedicare tutto il cammino che avremmo iniziato a P. Pino Puglisi. E così è nata « L’associazione giovanile centro 3P » di Licata. Chicco di grano che è diventata una spiga rigogliosa con il primo oratorio giovanile per Licata, l’accoglienza dei tossicodipendenti, dei carcerati in misura alternativa alla detenzione, degli immigrati che sbarcavano a Lampedusa come anche  a Licata e lungo le coste dell’agrigentino. Tutte realtà di servizio che hanno incontrato il segno della croce con denunce, provocazioni, maltrattamenti, intimidazioni. Ma come dice San Daniele Comboni : «Le opere di Dio nascono e crescono ai piedi della croce». La croce come prova della autenticità dell’opera e come espressione dell’amore che si dona.
La mano alzata in segno di vittoria: lo feci  perchè 3P vivendo le beatitudini era già nella pienezza della vita, in comunione con il suo Signore, Nessuno poteva toglierla e dunque quella morte era una « convenienza ».
Infatti quando una persona muore ed entra nella pienezza della vita, paradossalmente questo è una convenienza per gli altri che rimangono, perché fintanto che c’era la vita fisica era possibile, con la persona, il contatto delimitato dagli spazi, dal tempo, non era un contatto continuo, era condizionato da limiti e dalle insufficienze vitali della persona. Quando la persona entra nella dimensione definitiva, come 3P, continua l’amore di prima verso i suoi amici come per i suoi cari, ma l’amore viene potenziato dalla capacità stessa d’amore da parte di Dio.
Quella mano alzata in segno di vittoria fu per me l’illuminazione che quella morte causata da una mano assassina era una morte in conseguenza a quel motto, che è tutto un programma di vita di 3P « Si. Ma verso dove ? ». 
L'adesivo "Si, ma verso dove?", lo slogan scelto da padre Puglisi per la sua attività vocazionale


Una morte come quella del suo Signore, per amore, una vita donata, per cui alla mano assassina, con lo sguardo sorridente risponde : « me lo aspettavo ». Infatti Gesù in Giovanni 16,7 ci dice : « Ora vi dico la verità : è bene per voi che io me ne vada, perchè se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore ». 
E allora quel « SI. Ma verso dove ? » del programma di vita di 3P indica con chiarezza che quel « dove » è l’andare verso il Padre con un « Si » di adesione totale e appassionato all’amico Gesù. 
Quella morte non era più un morto da piangere ma un già risorto nella pienezza di vita con il Padre che come Gesù sprigiona tutta una energia vitale e una capacità d’amare che ci accompagna.
3P ci testimonia che l’orientamento dell’uomo è verso il Padre che è pienezza di vita e di amore. La direzione di ogni uomo è andare al Padre, in questa direzione in cui all’amore ricevuto dal Padre corrisponde un amore comunicato agli altri, che permetterà una nuova più grande risposta d’amore da parte di Dio in un crescendo senza fine.
3P è il testimone fedele a Gesù che non chiede di dare la vita per lui, ma chiede di dare la vita con lui e soprattutto quello che è più drammatico, come lui, la morte riservata alla feccia  della società. Questa vita di 3P donata per amore e con amore continua a sprigionare tanta energia vitale e tanta capacità d’amare che alimenta e sostiene nella comunione dei santi il mio cammino sacerdotale missionario in questo mio ritorno in missione.


Tante avrebbero potuto essere le motivazioni per desistere da questo ritorno in missione all’età di 60 anni con delle febbri che non mi lasciavano. Infatti sono stato assalito dalle febbri mentre mi trovavo a 450 km. dal capologo, Bondo, in una missione della foresta, per la formazione dei catechisti, che avevo raggiunto in 5 giorni in land-rover e non avevo come rientrare, perchè le piste erano impraticabili e in moto non potevo viaggiare. Ma ecco che la Croce Rossa ha captato un messaggio e con un piccolo aereo è venuta a tirarmi fuori della foresta e raggiungere così l’Italia. A Brescia mi hanno trovato il denge, causato da una puntura di zanzara diversa da quella della malaria. Il dottore che mi ha, per così dire, curato, - perchè non ci sono medicine - mi disse che sono stato fortunato perchè le febbri non sono state emorragiche e mi ha interdetto di ritornare in missione in zona endemica perchè alle prossime febbri mi avrebbero fatto i funerali. In missione sono ritornato e i superiori mi hanno inviato in una missione in montagna a 1700 metri di altitudine, Butembo, per l’animazione missionaria della diocesi, vasta due volte la Sicilia. Da due anni e mezzo non ho più contratto nessuna febbre. 
L’uomo, il sacerdote, l’amico, 3P, nel suo amore potenziato dal Padre, non mi lascia lungo il mio cammino a servire e a donarmi per la missione tra i più poveri e abbandonati. In un contesto di insicurezza del territorio con massacri continui di povere e inermi persone, il sequestro di molti e la sparizione di tre preti assunzionisti probabilmente crocifissi. 

6 commenti:

  1. Quel chicco di grano continua a germogliare e porta frutti! Don Pino nel cuore.
    Monica Volpe

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  2. Padre Gaspare, lei sa sempre lasciare un segno nel nostro cuore!
    Rossella Vizzi

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  3. Grazie per le cose che ci ha insegnato
    Erika Pranio

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  4. Splendida testimonianza!
    Maria Mattina

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  5. Testimonianza.Dobbiamo pregare perché il Signore protegga sempre queste persone elette e ammorbidisca il cuore dei persecutori.
    Mariolina Romano

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  6. Grazie, padre Gaspare, per questa bellissima testimonianza. Mentre la leggevo, più volte sono tornato ad inizio del post a vedere la Sua foto messa sotto il titolo. Non vorrei sbagliarmi, ma ricordo che un giorno ( anno scolastico 1992/93 ) è venuto con padre Puglisi al liceo Vittorio Emanuele, che è vicino alla Cattedrale. Padre Puglisi era così: i suoi amici li faceva conoscere agli amici. Mi aveva parlato di un missionario comboniano. Ora sono in pensione e mi tornano tanti flash di ricordi e, a volte, mi resta un rammarico. Ero troppo preso dal lavoro e dalla responsabilità che avevo nel dirigere il liceo, al punto che a volte, distratto dai miei pensieri, non ho saputo cogliere il "senso" del gesto di padre Puglisi che era venuto a scuola e in presidenza con Lei. Grazie ancora per il Suo scritto. Antonio Raffaele

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