giovedì 30 aprile 2015

PATRONAGGIO: DON PUGLISI UCCISO PERCHE' EDUCAVA AL VANGELO E ALLA LEGALITA'

Il magistrato Luigi Patronaggio

Luigi Patronaggio è il magistrato che, con il collega Lorenzo Matassa, ha condotto le indagini sull'omicidio di don Pino Puglisi, sostenendo poi l'accusa durante i processi. Ha inviato al nostro blog questo suo intervento in cui ripercorre il suo impatto con il caso giudiziario che si è ben presto trasformato in un rapporto diretto con la figura del sacerdote-martire. Ricostruendo il periodo storico del 1992-1993, Patronaggio collega il delitto all'anatema di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi e agli attentati alle chiese di Roma: l'omicidio - sottolinea - "è stato quasi la conclusione di un piano violento avente come destinataria finale proprio la Chiesa e il suo nuovo forte atteggiamento contro la mafia". Quanto a don Puglisi fu ucciso perché "era un evangelizzatore, nel senso che educava alla cultura del Vangelo, educava alla cultura della legalità, educava a superare il male attraverso il bene". 

di Luigi Patronaggio



Non è facile, non è usuale nella vita di un magistrato avere la fortuna di indagare e risolvere un caso così difficile come è stato l'omicidio di don Pino Puglisi.
In precedenti miei interventi ho definito questo caso giudiziario che mi è capitato come “una straordinaria avventura umana” e, devo dire, che mi è veramente caduto un dono dal cielo, sono stato veramente fortunato ad imbattermi in questa vicenda processuale che mi ha permesso di maturare personalmente e professionalmente.
Quando la mafia uccide qualcuno, succede che cerchi subito di screditare la vittima e di buttarle del fango addosso, ciò succede spesso quando si uccidono uomini con funzioni pubbliche anche al fine di sviare le indagini.
Ho subito pensato che questa tragedia nella tragedia, potesse accadere anche per don Puglisi, in realtà per lui questo miserabile tentativo di Cosa Nostra si è esaurito nell’arco di un paio di ore.  
Investigatori e giornalisti sotto casa di padre Puglisi, la sera del 15 settembre 1993, subito dopo il delitto 

Appena fatto il sopralluogo nell' abitazione del parroco assassinato, una casa assolutamente severa, piena di libri, molti di teologia, cominciarono ad arrivare i suoi amici, i ragazzi del quartiere e tanta gente per bene. Quelle voci che pur erano state fatte circolare per screditare la sua figura, cominciarono a dissolversi e scomparirono alle prime luci dell’alba, facendo emergere la figura di un uomo, di un prete, assolutamente straordinario, fuori dal comune.
Le indagini riuscirono subito a prendere la direzione giusta perché don Pino aveva seminato bene nel quartiere, aveva seminato la cultura della legalità.
Don Porcaro, suor Carolina, i componenti del comitato intercondominiale di via Azolino Hazon, tutti i suoi più stretti collaboratori hanno subito individuato nei fratelli Graviano i mandanti di quel delitto.
Voglio precisare che nel 1993 pronunciare soltanto il nome dei fratelli Graviano  a Brancaccio era atto di grandissimo coraggio, inaspettato, assolutamente rivoluzionario. Costoro hanno fatto parte dell' ala stragista di Cosa nostra, quella più efferata, e non è un caso che molti mafiosi del “commando” che ha ucciso padre Puglisi li ritroveremo fra coloro che hanno commesso le stragi del '93.
Mi preme anche sottolineare che all’epoca delle prime indagini non potemmo avvalerci di nessun pentito e tuttavia quel crimine fu subito inquadrato, senza alcun dubbio, come omicidio di mafia.

Ma perché è stato ucciso don Puglisi?

Fondamentalmente perché era un evangelizzatore, nel senso che educava alla cultura del Vangelo, educava alla cultura della legalità, educava alla cultura della partecipazione, educava a superare il male attraverso il bene.
Padre Pino è stato ucciso per la sua normalità di essere parroco, per la sua normalità di essere prete, per la sua normalità di essere sacerdote.
Io non so se don Pino è stato un santo, non ho le competenze per stabilirlo, ma egli è stato sicuramente un eroe per caso, uno che ha fatto della normalità della testimonianza una cosa straordinaria, uno che ha fatto il suo dovere fino in fondo senza tentennamenti.
 
Giovanni Paolo II e padre Puglisi (primo a destra) durante una visita a Castel Gandolfo
Sotto altro aspetto,  l'assassinio di padre Puglisi esprime anche il forte risentimento di Cosa nostra contro la Chiesa, risentimento riconducibile al discorso di Giovanni Paolo II nella “Valle dei Templi” del 9/5/93 quando, parlando a braccio, con voce tonante,  disse: "mafiosi convertitevi … una volta, un giorno, verrà il giudizio di Dio!". Quel grido rappresenta un punto di svolta nella lotta contro la criminalità organizzata, perché da quel momento la voce della Chiesa nei confronti della mafia si è imposta con fermezza, senza tentennamenti. C‘erano stati in passato, invero, lo dico così come ricognizione culturale del fenomeno senza alcun intento polemico, atteggiamenti di taluna parte della Chiesa non improntati al medesimo massimo rigore ma, dopo l'intervento del Papa, la Chiesa non ha cessato di indicare con fermezza la mafia come un male assoluto. Può essere utile ricordare la cronologia di questi fatti per argomentare e, in un certo senso dimostrare, quanto vi ho appena sostenuto.                                                                                                        
Il 9 maggio 1993 Giovanni Paolo II parla ad Agrigento, probabilmente indotto da un commovente colloquio con i genitori del magistrato Rosario Livatino (altro martire della giustizia) ucciso nel settembre del 1990; il 28 luglio 1993 vengono posti in essere due attentati contro due templi della cristianità: San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro, entrambi a Roma. Vi assicuro che per la quantità di esplosivo impiegato, oltre ai danni ai monumenti, quelle bombe avrebbero potuto causare delle stragi di esseri umani. Il 15 settembre dello stesso anno viene ucciso don Pino Puglisi. Il suo delitto è stato quasi la conclusione di un piano violento avente come destinataria finale proprio la Chiesa e il suo nuovo forte atteggiamento contro la mafia. E non è un caso, lo ripeto, che il gruppo di fuoco che ha ucciso il sacerdote palermitano sia lo stesso che ha portato avanti questa concertata azione criminale contro la Chiesa.
L'invettiva di Giovanni Paolo II ed il martirio di padre Puglisi hanno veramente cambiato le coscienze e apportato un'importante rivoluzione culturale e morale all’interno della Chiesa e nella nostra martoriata terra.
Un altro aspetto di don Pino che vorrei focalizzare e che ho potuto conoscere attraverso le testimonianze che ho raccolto  è dato dal fatto, invero un po’ singolare, che egli non fosse molto conosciuto a Palermo se non negli ambienti ecclesiastici, nella facoltà di teologia e nei licei dove aveva insegnato. Non faceva parte di quel “partito di  preti antimafia” che ogni giorno, in quel periodo, si facevano sentire e vedere attraverso i media, alle volte con atteggiamenti un po’ plateali e tuttavia decisamente non incisivi. No, la  presenza di Don Pino era come una voce silenziosa, perdonatemi l’ossimoro, non strepitava, non urlava, svolgeva un'attività costante all’interno del quartiere finalizzata a sottrarre agli sfruttatori le ragazzine che venivano avvicinate per essere indotte alla prostituzione, a riportare alla legalità i ragazzi, figli di rapinatori, destinati anch'essi a delinquere, a recuperare i giovani che si accostavano alla droga con una meritoria azione formativa e di prevenzione.
Ma don Pino si occupava pure di fatti apparentemente banali, eppure assai importanti in quel contesto, ad esempio ripristinare una dignitosa situazione civica, dando la possibilità alla gente di Brancaccio di riappropriarsi del proprio quartiere, di far funzionare l'illuminazione pubblica, le fognature, di permettere ai bambini di andare a scuola, contrastando la logica dei Graviano e dei loro “portaborse”, soggetti incapaci di realizzare neanche le cose minime del convivere sociale.
Gli striscioni affissi sulla chiesa di San Gaetano il giorno dopo l'omicidio

Don Pino era il garante di questa attività civica, di questo convivere civile, scontrandosi non solo con i boss mafiosi del quartiere ma soprattutto con la mentalità paramafiosa, con un modo di fare politica clientelare e colluso, in una parola con l'antidemocrazia.
Ancora, voglio sottolineare come padre Puglisi avesse un’idea molto chiara e lungimirante di quale dovesse essere l’autentico atteggiamento del cristiano contro la mafia e di come dovesse essere trattato il fenomeno del pentitismo e della dissociazione.  Pentimento sì, ma pentimento operoso, di un'attiva presa di distanza dalla mafia e contestualmente di collaborazione con lo Stato con l’Autorità Giudiziaria. 
Purtroppo nella mia esperienza professionale sono venuto a conoscenza del fatto che, mentre don Pino perdeva la vita per combattere con fermezza la mafia, altri dialogavano con i mafiosi, in un'ottica di perdono che prescindeva da un percorso di collaborazione. Anche da questo punto di vista  padre Puglisi è stato un rivoluzionario perché ha insegnato che non ci può essere pentimento, non ci può essere perdono senza una reale operazione di ravvedimento. Questo dibattito non ha attraversato soltanto la Chiesa, ma anche la magistratura, ovviamente non in senso teologico ma giuridico, esigendo dai pentiti una collaborazione attiva, sincera e produttiva.
Infine una testimonianza: io ho avuto la fortuna di catturare, di arrestare, Salvatore Grigoli, che è stato quello che ha materialmente sparato il colpo mortale alla nuca di Don Pino. Ho potuto interrogarlo e poi, dopo pochi giorni di trattativa, indurlo alla collaborazione e a fargli confessare ben 46 omicidi. Sì, avete capito bene, il killer di don Pino aveva commesso ben 46 omicidi !
Io non so se sul pentimento di Grigoli ci sia stato qualcosa di diverso dalla solita operazione giudiziaria, non so se qualcosa si sia insinuato nella sua anima, so soltanto che Grigoli sentiva forte il disvalore di quest'azione criminale, aveva ucciso 46 persone ma questo omicidio, più di ogni altro gli gravava fortemente l'anima.  Subito disse che voleva una vita diversa per i suoi figli, ne aveva tre piccoli in quel momento, così si è messo nelle mani dello Stato per seguire la via della legalità.

Chissà se sopra l’anima di Grigoli, al momento del suo pentimento, non ci sia stata la mano di Don Pino Puglisi. 


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Questo è il testo di un intervento a "braccio" di Luigi Patronaggio durante un convegno su don Puglisi organizzato all'istituto Don Bosco di Palermo (presieduto dal prof. Nicola Filippone che a suo tempo ha ideato e coordinato l'iniziativa): l'articolo viene ora inviato  dal magistrato - che ringraziamo di cuore - al nostro blog con solo lievi modifiche: "Volutamente l'ho lasciato nella sua forma originaria - spiega lui stesso - per non alterarne la forza comunicativa, essendo l'incontro rivolto essenzialmente ai giovani studenti".


7 commenti:

  1. Ho conosciuto padre Puglisi e condivido in pieno quel che dice il magistrato!
    Rosa Rita Calamia

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  2. ....grande Santo e grande magistrato.
    Luigi Marinaro

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  3. Grandissimo santo
    Alessandro De Luca

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  4. bell'intervento del magistrato Luigi Patronaggio sull'attività di don Pino Puglisi e sulle motivazioni della sua eliminazione.
    Giuseppe Sunseri

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  5. Davvero una bella testimonianza. Grazie.
    Michelangelo Nasca

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  6. Inserito qui sul blog e sulla pagina facebook collegata (qui sotto il link)
    https://www.facebook.com/BeatoGiuseppePuglisi
    questo articolo ha avuto oltre 4 mila visualizzazioni in tre giorni. Ancora un grazie di cuore a Luigi Patronaggio per la sua testimonianza e l'attenzione per questo blog

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  7. Testimonianza "inedita" per me e bella bella assai !!!!
    Gino Varsalona

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