sabato 30 agosto 2014

PADRE PUGLISI, IL SUO METODO, LA PARROCCHIA E I GIOVANI/2

PADRE PUGLISI, IL SUO METODO, LA PARROCCHIA E I GIOVANI

Materiali utili in particolare per le ricerche scolastiche
(seconda parte)



3P E LA CHIESA
Don Puglisi ha vissuto profondamente incastonato nella "sua" Chiesa, ne ha condiviso gioie e tensioni, ne ha saputo precorrere gli slanci come un pioniere, un pesce pilota.
E ha sempre rifiutato la logica della "carriera" negli incarichi diocesani. Quando qualcuno lo chiamava "monsignore", rispondeva "monsignore lo dici a tuo padre".

Figlio di un calzolaio e di una sarta, ordinato nel luglio '60 è arrivato a Brancaccio nell'ottobre del '90, con alla spalle quindi trent'anni di sacerdozio e una serie di esperienze diversissime ma tutte all'insegna del dialogo.

Negli anni Sessanta e Settanta, durante le contestazioni, Padre Pino parlava con i giovani che si professavano comunisti seduto al tavolo di una taverna quando in Italia erano feroci le contrapposizioni tra destra e sinistra.

Impartiva catechesi ma anche educazione sessuale a ragazzi e ragazze insieme quando persino l'Azione cattolica proibiva certi "contatti".

Fu parroco in diverse periferie della città ma sempre spinse la sua Chiesa in strada. E cominciò a interrogarsi sul senso della vita dell'uomo quando il Concilio Vaticano II e le sue riflessioni esistenziali erano di là da venire.

E ancora: precorse la rivoluzione dell'ecumenismo, dialogando con i protestanti a Godrano, un paese del Palermitano in cui fu parroco negli anni Settanta.

Per tutta la vita la sua attenzione, con serenità e pazienza, fu dedicata all'evangelizzazione, ai poveri, agli umili, alle persone senza voce e forse senza neanche speranza.

Si fece occhio per il cieco, piede per lo zoppo, si è fatto "tutto per tutti", per citare una delle riflessioni della Lettera ai Corinzi che gli era cara.

La gioia e l'allegria di don Pino erano contagiose come il suo senso della comunità cattolica.

Fu responsabile per Palermo e poi per l'intera regione dei Centri Vocazionali e nei campi-scuola organizzati nell'ambito delle attività di queste strutture i sacerdoti diocesani e i religiosi riuscivano a stare fianco a fianco. Gesuiti, francescani, passionisti...tutti - al di là delle esperienze precedenti e della diversa formazione - si ritrovavano nelle sue iniziative in una piena familiarità che purtroppo ancora oggi è difficile creare all'interno della Chiesa, spesso così tanto divisa nei rapporti tra i vari Ordini e le parrocchie.

Padre Puglisi amava la sua Chiesa, come una madre.
E infatti spiegava, con una battuta:
"Noi possiamo, dobbiamo criticare la Chiesa quando sentiamo che non risponde alle nostre aspettative, perché è giusto cercare di migliorarla. Ma va sempre criticata come una madre, non come una suocera!".
 (2-continua)

PADRE PUGLISI, IL SUO METODO, LA PARROCCHIA E I GIOVANI/1

PADRE PUGLISI, IL SUO METODO, LA PARROCCHIA E I GIOVANI

Materiali utili in particolare per le ricerche scolastiche
(prima parte)




"Coraggioso testimone del Vangelo" lo definì Giovanni Paolo II durante la visita in Sicilia, a Catania e a Siracusa, del novembre 1994. E per la diocesi di Palermo padre Pino Puglisi è oggi certamente uno dei punti di riferimento per chi voglia ricostruire un percorso di vita esemplare come carisma profetico e feconde capacità educative.

In questa parte del Blog troverete articoli utili in particolare per gli studenti che vogliono approfondire il suo metodo, o per chi voglia analizzare il suo approccio pedagogico. Ma anche la sua attività di "prete di frontiera" alle prese con la criminalità organizzata, come può accadere in tante regioni italiane (e non solo del Sud). E tutto questo senza dimenticare che il motore della sua azione era la fede cristiana.


Perché Karol Wojtyla definiva padre Puglisi un testimone? La parola non fu scelta a caso. I testimoni, in greco antico sono i "màrtyres" e l'offerta della vita, il martirio, sanciscono nella storia terrena di padre Pino l'incarnazione fino in fondo dei valori cristiani in una realtà come quella di Brancaccio, simbolo delle tante periferie siciliane dove la voce della Chiesa è spesso l'unica a confortare e promuovere il riscatto degli ultimi, con il coraggio della denuncia. Per questo il giorno della morte di padre Puglisi (15 settembre) in quanto momento non di sconfitta ma dell'incontro con il Cristo-vita è diventato a Palermo il giorno dell'apertura dell'anno diocesano, attimo simbolico del "kayròs", il tempo della liberazione e della salvezza. 

Padre Pino si sentiva nell'intimo della propria fibra spirituale di sacerdote persona "consacrata", sacramentalmente configurata a Cristo pastore della Chiesa.
E dall'amore di Dio promanava l'ansia di verità e di giustizia sociale che lo ha reso insopportabile agli occhi dei boss mafiosi a Palermo, così come - lo leggiamo nel  Libro della Sapienza - l'azione del giusto è un peso insostenibile per lo sguardo del peccatore. "3P", come amava farsi chiamare, ha saputo costruirsi questa valenza profetica attraverso pilastri senza tempo: questi sono la Fede viva e coltivata nella meditazione della Parola e nell'aggiornamento teologico, la preghiera personale e liturgica, la quotidiana celebrazione dell'Eucarestia, la frequenza del sacramento della Penitenza.

Tutto ciò nella dimensione di una vita poverissima: "La benzina è il mio pane", ci diceva. Il pane poteva mancare alla sua umile mensa, ma non il carburante per l'utilitaria, in modo da essere sempre pronto ad accorrere dove una telefonata o un presentimento rendeva necessaria la sua parola.

In questi articoli cercherò di rievocare chi era padre Pino, analizzando in particolar modo il suo metodo pedagogico, che ho potuto sperimentare in prima persona.
Al liceo Vittorio Emanuele II "3P" è stato l'insegnante di religione mio e della compagna di classe che ora è mia moglie. Ci ha accompagnato nel nostro cammino di fede e ha benedetto il nostro matrimonio. Quando è diventato parroco di Brancaccio, nell'ottobre del '90, l'abbiamo raggiunto e ci siamo impegnati con lui nel quartiere. Dalle vicende biografiche passerò al metodo e infine tenterò di delineare cosa stava facendo padre Puglisi a Brancaccio e il movente dell'omicidio.
Francesco Deliziosi
fdeliziosi@gds.it

(1-continua)

mercoledì 27 agosto 2014

PADRE PUGLISI MODELLO PER TUTTI I SACERDOTI


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Intervento di mons. Giò Tavilla, direttore della rivista diocesana di Messina La Scintilla per la presentazione del libro di Francesco Deliziosi: Pino Puglisi, il prete che fece tremare la mafia con un sorriso (libreria Paoline, Messina 6 marzo 2014, in collaborazione con la Fondazione antiusura Padre Pino Puglisi che da 20 anni opera nella Città dello Stretto)

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Sono contento di essere qui questa sera per presentare il libro “Pino Puglisi, il prete che fece tremare la mafia con un sorriso” di Francesco Deliziosi, che saluto e ringrazio per il dono di questa sua opera, certo di interpretare i sentimenti di tutti.
Non nascondo la mia emozione come uomo, come siciliano affezionato a questa nostra meravigliosa Isola, come sacerdote che cerca di crescere alla luce di modelli radiosi che sconvolgono sicurezze e schemi acquisiti per essere sempre più trasparenza della grande luce che è Cristo Gesù.
Saluto e ringrazio la prof.ssa Pina D’Alatri e le Suore Paoline, soprattutto per la fiducia accordatami nel chiamarmi a presentare questo volume così ricco di suggestioni. Saluto con fraternità sacerdotale mons. Nino Caminiti… p. Nino presidente dell’associazione antiusura P. Pino Puglisi.
Per non sottrarre tempo alla parola che l’autore vorrà rivolgerci, cerco di compendiare quei riferimenti che ho ritenuto utili per la presentazione di questo libro, ma soprattutto cercherò – seppur con difficoltà – a dare eco alle emozioni suscitate da queste pagine, da dove emerge la statura umana e spirituale di don Pino Puglisi… ma forse sarebbe bene già calarsi nel vissuto concreto raccontato dalle vive e, in molti passaggi, vibranti pagine di questo libro. E allora mi piace pensare ad un cammino da percorrere insieme a 3P. Perdonatemi se mi soffermo su un dato personale, che ritengo attinente. L’estate scorsa, da parroco insieme ai miei catechisti dei giovani, abbiamo organizzato come ogni anno il campo-scuola e in quell’occasione abbiamo pensato di mostrare ai giovani alcune figure di santità ricche di umanità, affinché si sentissero scossi dalla loro testimonianza per abbracciare alti ideali e iniziare a scoprire il progetto di Dio su di loro. Ebbene, penso subito a p. Puglisi. Allora mi documento, cerco su internet e trovo stralci di un testo che mi appassiona… oggi è questo stesso testo che inaspettatamente viene messo tra le mie mani, affinché – accogliendolo nel cuore – possa presentarlo a tutti voi. Questo mi emoziona ancor di più!

Leggere il libro di Francesco Deliziosi appassiona. In esso trovate un continuo incrociarsi di fatti che conducono alla testimonianza dello stesso 3P, rilette alla luce del vissuto di coloro che lo hanno conosciuto, con lui hanno creduto, nella tenerezza del suo tratto umano e del suo sorriso hanno riposto fiducia, nella forza dei suoi ideali e del suo essere sacerdote di Cristo hanno ripetuto il loro “eccomi”! C’è un elemento che crea subito un impatto che scuote la coscienza e il cuore: l’autore non segue un percorso narrativo classico iniziando a raccontare l’infanzia di colui che oggi è Beato, ma ci mette subito di fronte al momento che compendia tutta la sua vita – la sua uccisione – come focus da tenere presente ed acquisire come chiave di lettura per tutto il libro. Infine, attraverso testimonianze dense di quotidianità – quella vita ordinaria fatta di gioie e speranze, ma anche di paure e fragilità, fede in Dio e nell’uomo, ma pure scoraggiamento umano – ci presenta la personalità di 3P, attingendo anche ai suoi scritti, la levatura del suo sacerdozio speso senza riserve, là dove l’obbedienza lo ha condotto (in genere erano i posti che nessuno voleva!), la capacità comunicativa di dialogare con tutti, compresa la mafia.
Ci sono altri due elementi che desidero portare all’attenzione di tutti voi. Chi si accosterà a queste pagine non può non sentire forte il cuore del profeta che vive in 3P. Potremmo rileggere appunti personali o eventi da lui vissuti o situazioni da lui affrontate con metodi che – pur essendo negli anni ’70, ’80 e ’90 – oggi sono richiamati dalla pastorale dei nostri giorni e nientemeno dalle intuizioni del Santo Padre Francesco. Pensate per un istante al forte richiamo alle periferie geografiche ed esistenziali. Utile sarebbe fare il parallelismo con i luoghi del ministero di 3P (a scuola come insegnante di religione, al Roosevelt, a Godrano e a Brancaccio) e le periferie dove entrare e portare speranza, atteggiamenti richiesti anche dal piano pastorale consegnatoci dal nostro arcivescovo. Infatti, obiettivo di 3P era non convertirci, ma starci accanto, come citato da una testimonianza contenuta nel libro. Ascoltate per esempio questa affermazione: non vogliamo preti a mezzo servizio, funzionari, burocrati. Vogliamo un testimone delle realtà soprannaturali, chi l’ha pronunciata? Tanti diremmo Papa Francesco, invece fu 3P alla fine degli anni ’60, a cui fa eco quanto descritto a pag. 91: uno dei suoi poster preferiti era un orologio senza lancette con la scritta: Per Cristo a tempo pieno. E cosa dire di quella che oggi chiamiamo pastorale integrata… sembra forse una “scoperta” o intuizione dei nostri giorni, invece no. Altro elemento, che vede l’impegno dell’autore negli ultimi capitoli, è ciò che è scaturito dopo l’uccisione di 3P con i processi alla mafia, con i pentiti e le loro testimonianze ed in particolare penso a Salvatore Grigoli “perseguitato” dal sorriso di don Pino mentre lo assassinava. È la logica del chicco di grano che porta frutto pieno solo dopo che marcisce nel terreno. Ai processi di mafia si affiancano i traguardi ottenuti: la realizzazione del centro Padre Nostro e l’estinzione del mutuo, l’inaugurazione nel 2000 della scuola media a Brancaccio (per cui tanto 3P si adoperò per il riscatto sociale del quartiere, per restituire dignità ai bambini e dare una cultura che contribuisse a toglierli dalla strada e dalla manovalanza mafiosa), scuola intitolata a lui, gli scantinati di via Hazon 18 – terra di nessuno e luogo di illegalità in mano alla mafia locale – bonificati nel 2005 e il paradosso annunciato recentemente, nel 2013 con l’utilizzo del terreno che 3P voleva per realizzare la nuova chiesa del quartiere e su cui sorgerà una nuova chiesa intitolata a don Puglisi. Ma la mafia continua ad esserci e, citando il nostro autore che riporta le parole del magistrato Giuseppe Di Lello: non è ancora detto che si vinca ma, forse per la prima volta, non è ancora detto che si perda. In ultimo, le pagine relative al processo di beatificazione iniziato nella sua fase diocesana nel 1999, concluso a Palermo nel 2001 e quindi trasferito a Roma per arrivare al decreto di beatificazione per martirio in odium fidei nel 2012 e alla beatificazione il 25 maggio 2013. Opportune e chiare le pagine che Francesco Deliziosi dedica alla spiegazione della motivazione del martirio e del concetto di odium fidei, togliendo strutture concettuali sovrapposte a 3P, che lo ritengono erroneamente un prete antimafia, contraddicendo ciò che lui affermava di se stesso: non sono un prete anti, ma per… per l’uomo, per costruire qualcosa.

Aveva grandi orecchie, grandi mani, grandi piedi. Dava appuntamenti e arrivava puntualmente in ritardo. Prima di lui arrivava il suo sorriso. Sapeva ridere dei propri difetti, austero, povero (senza conto in banca, mangiava scatolette di tonno e dentro le stesse scatolette, ma era sommerso dai libri), buono ma non debole. Fu un prete di strada che andava a trovare le sue pecorelle nei vicoli e nei tuguri. La sua vera ispirazione scaturiva dalla Parola di Dio – si leggerà nelle pagine del libro del suo stile del panino e del Vangelo – dalla carità e dall’amore per il prossimo. Coerente con la sua umanità e con il suo credo, volle essere per tutti segno di una Chiesa vicina agli ultimi. Scriveva nei suoi appunti: Cristo ha parlato più volte di vita quotidiana che di vita eterna, semmai di vita quotidiana in prospettiva di vita eterna.
Uomo di dialogo e di ascolto: occorre capacità di dialogo con la realtà, gli altri, se stessi, l’assoluto, scrive nei suoi appunti. Anche agli atei e anticlericali, che raggiungeva nei luoghi da loro frequentati per stare con loro, diceva: siamo in un viale, c’è una parte che possiamo percorrere insieme, tu comunista e io cristiano. Guardiamo ciò che ci unisce: l’esigenza di giustizia, di riscatto, di rinnovamento sociale. E rivolto ai mafiosi di Brancaccio, dopo i tanti atti intimidatori contro di lui, contro i suoi collaboratori, contro la ditta che ristrutturava la chiesa di S. Gaetano: sono qui, sono disposto a parlare. Voi avete vissuto da piccoli in questa chiesa e quindi anche voi siete figli di questa chiesa. a questo punto vi aspetto e ne parliamo.
Tra i preti si definì il più altolocato della diocesi, quando fu inviato a Godrano (là dove i ragazzi non avevano mai visto il mare) a 750 metri sul livello del mare, comunità accecata dalla nebbia del rancore con la chiesa parrocchiale vuota, mentre quella dei protestanti era affollata. Lì confidò a un suo collaboratore: la mia vocazione è in crisi. Non so più fare il prete, non ce la faccio più a fare il prete. Le famiglie non vogliono saperne di venire in chiesa. Quindi, rivolto al giovane collaboratore che gli diceva di puntare sui bambini e sui giovani, 3P disse: Sì, e tu mi aiuterai. Non dobbiamo parlare di religione, tu devi solo testimoniare. Sacerdote fedele che non conosce mezze misure. Così si leggeva nell’immaginette che teneva nella sua auto usata: il compito più grande e che merita qualunque sacrificio è quello di edificare l’uomo.
Non ho paura di morire, se quel che dico è la verità, afferma dialogando con sr. Carolina, sua collaboratrice al centro Padre Nostro. Arriva il momento della sua morte: 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno. L’autore lo racconta nel primo capitolo, commuovendo profondamente il cuore di chi legge, soffermandosi sul sorriso impresso sul viso di 3P, che richiama alla memoria citando le parole di Salvatore Grigoli (p. 255), riprende in due vibranti pagine (pp. 275-276) che raccontano la testimonianza di Giuseppe Carini giovane di Brancaccio, testimone di un omicidio, e lo affida come consegna a ciascuno di noi, al termine dell’ultimo capitolo, scrivendo: un sorriso che fece tremare la mafia e chi ci ha donato una nuova speranza. La motivazione della sua morte è individuata nella causa di beatificazione nell’odium fidei. P. Puglisi muore perché ha fatto il sacerdote sul serio, non perché prete antimafia, ma perché ha esercitato il suo ministero predicando la buona novella, annunciava e proclamava il Padre Nostro, educando i bambini al bene, parlando di perdono e di conversione, predicando la sacralità della vita umana. Come disse il card. Salvatore Pappalardo nell’omelia per il funerale di 3P: "è morto per aver avuto fame e sete di giustizia divina e umana. Niente lo ha fermato… niente e nessuno ha potuto impedire il suo grande amore per Dio che diventava solidarietà per quanti hanno bisogno di essere aiutati nel corpo e nello spirito".

PADRE PUGLISI: LA VITA HA UN SENSO PERCHE' E' UNA VOCAZIONE


SIAMO TUTTI CHIAMATI, TUTTI MANDATI


Un anno fa, il 25 maggio 2013, veniva riconosciuto dalla Chiesa il martirio di padre Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993. Per ricordare quel giorno e capire il senso del suo sacrificio ecco la bozza di suo pugno di una relazione scritta per un convegno che si tenne ad Acireale nel 1988 (Presbiteri, religiosi e laici nella parrocchia per una pastorale vocazionale unitaria). In quel periodo padre Pino era responsabile per tutta la Sicilia dei centri diocesani vocazionali. Nella relazione, che concludeva il convegno, c'è tutto il taglio esistenziale che diede al suo insegnamento. 
Per essere veri cristiani occorre scoprire e seguire la propria vocazione, nei vari campi in cui siamo chiamati ad agire. Al servizio dei poveri, dei più sfortunati, degli emarginati. La pastorale vocazionale non è quindi, nella Chiesa, un di più da aggiungere alle altre iniziative ma permea di sè tutta l'azione dei cristiani. Siamo tutti chiamati da Dio, nel rispetto della nostra libertà, e tutti mandati ad aiutare gli altri a scoprire la propria vocazione. Tutti chiamati, tutti mandati. La visione ecclesiale di padre Puglisi coincide quindi al fondamento con la concezione missionaria del suo essere sacerdote. E a Brancaccio interpretò con coerenza il suo voler essere un missionario. Fino al sacrificio della vita, pur di non rinnegare la sua chiamata tra gli ultimi di quella periferia.


PALERMO, LA RELIQUIA DEL BEATO PUGLISI ANDRA' NELLE CHIESE DELLE ALTRE DIOCESI

iL CARDINALE ROMEO FA UN BILANCIO DELLE CELEBRAZIONI A PALERMO
PALERMO. Dalla parrocchia di san Gaetano, a Brancaccio, a quella di Godrano. L'ultima chiesa e la prima in cui il beato padre Pino Puglisi ha svolto il suo ministero sacerdotale sono state il punto di partenza e di arrivo della peregrinatio della reliquia del sacerdote ucciso dalla mafia. Un’iniziativa che si è conclusa nell’Arcidiocesi di Palermo ma che continuerà nelle chiese delle altre diocesi siciliane. 

COSI' PADRE PUGLISI SBARR0' LA STRADA ALLE INFILTRAZIONI MAFIOSE NELLE PROCESSIONI

SCELTE CHIARE PER DEPURARE LA DEVOZIONE POPOLARE DALLE INFILTRAZIONI

Il recente caso di Oppido con l'inchino della statua della Madonna al boss locale e le ferme prese di posizione di Papa Bergoglio durante la visita in Calabria offrono lo spunto per un ricordo di come padre Puglisi affrontò la questione in diversi momenti. Per tutta la vita, infatti, don Pino cercò di depurare la devozione popolare dalle infiltrazioni mafiose e, a Brancaccio, allontanò il comitato che organizzava processioni e feste per il patrono San Gaetano. Cambiando anche il percorso della processione che si fermava davanti alla casa dei fratelli Graviano, i boss del quartiere. 
A chi gli proponeva feste di piazza con show di cantanti e fuochi pirotecnici, ebbe a dire: "Qui la gente muore di fame e voi mi proponete iniziativa che costano decine di milioni? Nulla di queste idee ha a che fare con la religione".

PADRE PINO PUGLISI. PADRI, PADRONI E PADRINI

Beato il parroco di Palermo martirizzato dai mafiosi. Padre Pino Puglisi è martire perché in lui è compiuta l’immagine della Paternità di Dio, quel Cristo che lo Spirito scolpisce nella pietra informe e indocile di ciascuno di noi. Un articolo dello scrittore palermitano Alessandro D'Avenia. Anche lui conobbe padre Puglisi al liceo Vittorio Emanuele II
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di Alessandro D'Avenia
Non è la morte, ma la causa della morte a fare il martire. Padre Pugli­si è stato ucciso il 15 settembre 1993, il giorno del suo compleanno, proprio per­ché i fratelli Graviano, capi mafiosi del quartiere Brancaccio, già complici dei Corleonesi negli attentati a Falcone e Bor­sellino, non tolleravano che Padre Pino facesse il prete: sottraeva consenso ai pa­drini della terra e lo indirizzava al Padre celeste. Palermo è una città in cui le pa­role purtroppo hanno spesso il massimo della loro estensione possibile: si pensi a parole come "famiglia", "onore", "padre".

          Ogni parola importante, come ci ha in­segnato Dante, si estende dall’Inferno al Paradiso in un crescendo che va dall’or­rore del ribaltamento della parola stessa, al suo pieno compimento. Basti pensare alla parola 'padre', che nella Commedia troviamo nel dannato più dannato di tut­ti, per questo più in fondo di tutti: Ugoli­no, un padre che muore con i suoi figli, o meglio un padre che dà la morte ai suoi figli. Egli, causa della loro reclusione nel­la torre da parte del vescovo Ruggeri (al­tro padre che ha sovvertito il suo ruolo ed è condannato con Ugolino in un ban­chetto cannibalistico), invocato dai suoi figli che chiedono pane, tace: non ha pa­ne, né parole. I figli, sopraffatti dal dolo­re del padre, arriveranno a chiedergli di cibarsi dei loro corpi, dal momento che è lui ad avere donato la carne di cui sono fatti, quella carne gli ap­partiene. I figli vorrebbe­ro dare la vita al padre, invertendo l’ordine na­turale delle cose. Trage­dia della paternità è quella di Ugolino: un pa­dre che sovverte la sua paternità e finisce con il divorare – lasciando in­tatta l’ambiguità dell’ef­fettivo banchetto filiale – le carni dei suoi figli. È un padre che invece di dare la vita la toglie, è un pa­dre che invece di rende­re liberi, imprigiona; è un padre che invece di par­lare, tace; è un padre che invece di imbandire la tavola con il pane, banchetta con le carni dei figli. Non è un padre, ma un padrone carnefice, come i padrini.

          All’altro polo – rispetto a quello infernale – della parola "padre", trovia­mo il Padre del cielo, passando per tutte le sfumature di paternità che Dante met­te in campo e che ne sono la manifesta­zione da Virgilio a Bernardo. Il Padre che Dante incontra faccia a faccia nell’ultimo del Paradiso è un Padre che dà la vita, che imbandisce il banchetto eterno dove il pane non finisce mai e non va guada­gnato dai figli, né deve essere da loro ri­chiesto, perché è donato, prima ancora di qualsiasi merito o richiesta, gratuita­mente e infinitamente. Questo Padre ren­de liberi e dà la vita: Dio è Creatore per­ché Padre. La vicenda di Padre Pino Puglisi, come la Commedia dantesca, contiene tutte le ac­cezioni della parola padre. Dal padre che è padrino e padrone, perché controlla e ha diritto di vita o di morte sul suo terri­torio, al padre che è pastore dello stesso quartiere dove il padrino detta legge. Ma padre Pino Puglisi, bonariamente chia­mato dai suoi amici 3P, è la vera formula della paternità. Questo tripudio di 'P' lo conferma. Un padre che dà la vita, ren­dendo liberi e dando pane.

          Non è un ca­so che avesse deciso di chiamare "Padre Nostro" il centro di accoglienza per i ra­gazzi del quartiere, che al pomeriggio in­vitava a giocare, studiare, pregare (pane e parola) con l’ausilio dei liceali della mia scuola, dove insegnava religione. Era il modo di sottrarre i giovani di Brancaccio alla strada, ai soldi facili, ai lavoretti spor­chi che garantivano manovalanza sempre nuova ai capi mafiosi e l’inizio di una car­riera tra le fila dei picciotti, in un quartiere dove, alla morte di Falcone, alcuni ragaz­zi avevano esultato per strada come do­po una vittoria calcistica.

          Quei giovani potevano intravedere un’altra possibilità e soprattutto sperimentavano quell’amicizia che solo la vera paternità sa offrire. Quella del padrino è basata sul controllo, è quella dell’animale addestrato, al contrario quella del Padre invece è un’amicizia basata sulla libertà. Quei ragazzi si sentivano amati e sperimentavano le parole del Vangelo: «Vi ho chiamati amici perché vi ho fatto conoscere le cose del Padre mio».

          Padre Pino è icona della paternità di Dio, come lo è stato Cristo, per questo è martire e per questo morì con il sorriso sulle labbra, come Cristo, perdonando e affidandosi al Padre: non è un’immaginetta devota o un santino dai colori fluorescenti. Sorrise davvero, come Cristo. E lo sappiamo proprio da chi gli ha sparato. Infatti Salvatore Grigoli, uno dei giovani killer, dopo aver confessato l’omicidio, raccontò: «Il padre si stava accingendo ad aprire il portoncino di casa. Aveva il borsello tra le mani. Fu una questione di pochi secondi: io ebbi il tempo di notare che lo Spatuzza si avvicinò, gli mise la mano per prendergli il borsello. E gli disse piano: "Padre, questa è una rapina". Lui si girò, lo guardò, sorrise – una cosa questa che non posso dimenticare, che non ci ho dormito la notte – e disse: "Me l’aspettavo". Non si era accorto di me, che ero alle sue spalle. Io allora gli sparai un colpo alla nuca».

          Il killer lo chiama «il padre». Il killer mandato dai padrini esegue l’atto che il padrino ha decretato: togliere la vita. La vittima in un paradossale capovolgimento, nella sua inermità è padre, sorride, perché ha già la vita, aspettava solo il momento in cui l’avrebbe data, anzi l’aveva già donata, come Cristo nel Getsemani: non è un caso che Padre Pino avesse parlato in quelle ore di quella scena in cui Cristo suda sangue. Aveva affrontato già la paura della morte, nel suo orto degli ulivi interiore. E sul suo volto il sorriso del Padre si dipinge come un sorriso che non gli appartiene, il sorriso di chi la vita la dona. Non sono i padrini che gliela tolgono, ma è lui che la dona, perché è il Padre che la dona a lui, rendendolo padre persino dei suoi assassini, che non potranno neanche dormire la notte, al pensiero di quel sorriso. Non al pensiero dei loro delitti, ma al pensiero del vero sorriso del Padre, che ama a prescindere da chi siamo e cosa facciamo.

          Padre Pino Puglisi è martire perché in lui è compiuta l’immagine della Paternità di Dio, quel Cristo che lo Spirito scolpisce nella pietra informe e indocile di ciascuno di noi. E il padrino, relegato in prigione, simile ad Ugolino, si sgretola e torna ad essere quello che è sempre stato: una ridicola maschera blasfema della paternità. Per questo padre Pino è morto in odio alla fede ed è martire: provò a sostituire la maschera vuota del padrino con il vero volto del Padre. E quel volto fu lui.


(da Avvenire)

IL POSTULATORE: PUGLISI SANTO E LA MAFIA ODIO' LA SUA FEDE



In occasione del primo anniversario della beatificazione di don Puglisi, ecco un articolo del postulatore della causa, l'agrigentino, mons. Vincenzo Bertolone, pubblicato dall'Osservatore Romano
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2014-05-22 L’Osservatore Romano
La beatificazione di don Pino Puglisi — avvenuta il 25 maggio dello scorso anno — significa che, nel cammino cristiano verso la perfezione, l’eccezione è davvero la regola. Il santo, infatti, piuttosto che una persona eccezionale, è l’incarnazione di un’esistenza ordinaria, in cui ogni aspetto quotidiano si carica di un’intensità straordinaria perché derivante dalla fede in Gesù Cristo.
Il martire, spiega bene Timothy Radcliffe, può essere «un insegnante che rimane desto fino a tardi per preparare la lezione per il giorno dopo, o anche solo qualcuno che si preoccupa di sorridere a chi è spossato, sfinito. Può trattarsi di dire sinceramente ciò che si pensa, anche se questo potrebbe rovinare la carriera o far perdere il lavoro».
Perciò un’esistenza straordinariamente ordinaria, come quella del prete siciliano beatificato un anno fa, urta chi il male — invece di odiarlo ed evitarlo — lo pratica come un fatto gratuito e quasi banale. Così erano gli esponenti della cosca palermitana di Brancaccio dei Graviano, che armarono la mano del sicario perché eliminasse quel prete. Non tanto perché egli fosse un prete “contro”, quanto piuttosto perché la sua testimonianza, fatta di annuncio evangelico, di formazione e di educazione delle giovani generazioni in un territorio ad alta infiltrazione d’illegalità, non poteva essere tollerata in quanto grave ostacolo e, come nel caso di don Pino, non poteva non generare odio criminale per la visione religiosa che egli rappresentava e incarnava.
di Vincenzo Bertolone

LO ZIO PINO DI FICARRA E PICONE




Ecco il testo del famoso sketch di Ficarra e Picone dedicato a padre Puglisi e presentato a Sanremo 2007. Occorre ricordare che Valentino Picone aveva conosciuto don Pino al liceo Vittorio Emanuele II di Palermo.

ZIO PINO PUGLISI (Ficarra e Picone)

(Trascrizione da Ma chi ce lo doveva dire e Sanremo 2007)


P: Dalle nostre parti, quando si vuole bene ad una persona, ma bene veramente, la si chiama Zio, Don

F: Quando gli vuoi bene in maniera particolare e gli porti un rispetto enorme, Padrino, in siciliano Parrì
P: A noi è capitato di voler molto bene ad un persona e, anche se non era un parente, per noi ...era lo Zio Pino


COM'ERA PADRE PUGLISI, IL MIO INSEGNANTE DI RELIGIONE


(www.soveratiamo.com)


Grazie a Carlo Mellea, presidente dell'Osservatorio calabrese "Falcone-Borsellino-Scopelliti", vi proponiamo un'intervista al giornalista siciliano, Francesco Deliziosi, in merito alla sua amicizia ed alla sua esperienza con don Pino Puglisi che sarà pubblicata in questi giorni sul periodico dell'Osservatorio, "L'officina del libero pensiero". Di seguito il testo:
Francesco Deliziosi, giornalista palermitano, è stato allievo al Liceo di padre Pino Puglisi e suo collaboratore durante gli anni di Brancaccio. Ha poi aiutato anche il Postulatore, mons. Vincenzo Bertolone (arcivescovo di Catanzaro), partecipando al lavoro che ha portato alla beatificazione del parroco ucciso dalla mafia, la grande festa celebrata a Palermo il 25 maggio scorso davanti a 80 mila persone. E' anche autore del libro "Pino Puglisi, il prete che fece tremare la mafia con un sorriso" (Rizzoli, prefazione di don Luigi Ciotti). Su invito dell'Osservatorio Falcone-Borsellino-Scopelliti ha presentato il suo volume il 28 febbraio 2014 a Soverato nella libreria "Non ci resta che leggere" e il 1° marzo a Lamezia Terme al Liceo Campanella.
- Qual è stato il suo rapporto col Beato padre Pino Puglisi? Come lo ha conosciuto, cos'ha apprezzato di lui?
Al liceo Vittorio Emanuele II di Palermo (dove ha insegnato dal 1978 fino alla morte, nel 1993) padre Pino Puglisi – amava farsi chiamare "3P"- è stato l'insegnante di religione mio e della compagna di classe che ora è mia moglie. Ci ha accompagnato nel nostro cammino di fede e ha benedetto il nostro matrimonio. Quando è diventato parroco di Brancaccio, nell'ottobre del '90, l'abbiamo raggiunto e ci siamo impegnati con lui nel quartiere. Doveva battezzare nostro figlio Emanuele e ci metteva fretta ogni volta che ne parlavamo: "Dobbiamo battezzarlo subito, subito"... L'ultima volta è successo tre giorni prima del delitto. Lui aveva capito che gli era rimasto poco tempo, in quel caldo settembre del 1993.
- Com'era in classe?
In classe sapeva tessere rapporti personali fortissimi. Partiva da argomenti non strettamente in programma ma che interessavano noi ragazzi: politica, educazione sessuale, i difficili rapporti di amicizia o sentimentali che catalizzano l'attenzione degli adolescenti. Sapeva ascoltare ed era autoironico: diceva che quelle sue orecchie a sventola servivano appunto per ascoltare meglio... Era sempre disponibile agli incontri anche fuori dagli orari scolastici. Il suo tempo era donato totalmente agli altri, soprattutto ai giovani.
E tutto questo nella dimensione di una vita poverissima: "La benzina è il mio pane", mi diceva. Il pane poteva mancare alla sua umile mensa. E infatti aveva il frigorifero sempre vuoto. Ma non mancava mai il carburante per l'utilitaria, in modo da essere sempre pronto ad accorrere dove una telefonata di un alunno o un presentimento rendevano necessaria la sua parola.
Abbiamo trovato tante testimonianze di alunni o di ragazzi per cui don Puglisi è stato – come per noi - un punto di riferimento fortissimo. Toccante (è riportato nel mio libro) il racconto di una giovane che aveva deciso di suicidarsi al culmine di un periodo di depressione. Don Pino riuscì a salvarla con la sua tenerezza e accoglienza. Le ripeteva: "Pensaci, per me sei importante". Questi sono i miracoli di padre Puglisi.
- Quali insegnamenti possiamo ricavare dal comportamento di Padre Pino Puglisi e come si può vivere il proprio cristianesimo in ambienti difficili qualisono i quartieri-dormitorio delle periferie delle città siciliane ma anche calabresi?
Le testimonianze sono ora univoche: don Pino propone a Brancaccio un modello di prete che i boss non riconoscono, mentre si sono sempre mostrati pronti ad accettare e «rispettare» un sacerdote che sta in sacrestia, tutto casa e chiesa, promotore di processioni - magari al fianco dello "Zio Totò" di turno -, che "campa e fa campari". Padre Puglisi sceglie invece di uscire dalla sacrestia e di vivere fino in fondo i problemi, i rischi, le speranze della sua gente. Desidera, in quanto parroco, la liberazione e la promozione del suo popolo. E ciò vale come modello per tutte le periferie siciliane e non solo.
Don Puglisi propone inoltre un nuovo modello di parrocchia. Tra le sue iniziative, ad esempio, c'era la richiesta di una scuola media a Brancaccio, e per questo è un pungolo continuo per le istituzioni. Da qui una serie di manifestazioni, di contatti con lo Stato, di proteste civili. Tutto questo avviene alla luce del sole, lontano dall'altare, con gesti che per la loro visibilità non passano inosservati: sono scelte ben precise e compiute con la consapevolezza del loro effetto dirompente sugli equilibri mafiosi. «Non dobbiamo tacere», diceva don Pino ai parrocchiani più timorosi nei giorni delle minacce, degli attentati che preludevano all'agguato. E aggiungeva, citando San Paolo, "si Deus nobiscum, quis contra nos?". Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?
Sono scelte che lasciano intravedere l'immagine di una Chiesa che ha deciso di essere «debole con i deboli», di stare dalla parte degli ultimi, che crede nelle istituzioni, ma senza supplenze o logiche clientelari.
Come non sentire nelle vicende di don Puglisi l'eco delle parole di Papa Francesco che chiede oggi ai sacerdoti di "sentire l'odore delle pecore" e "una Chiesa povera e per i poveri, che vada nelle periferie, testimone della storia d'amore che ci lega a Dio"?
- Che cosa significa per tutti la beatificazione di don Puglisi?
La beatificazione di padre Puglisi ha un significato di liberazione: è come se la Chiesa avesse cacciato fuori dal tempio i mafiosi con tutto il loro armamentario di santini bruciati, bibbie del Padrino e così via. I boss hanno usurpato i riti cristiani, cercano di farsi passare per persone religiose. Ora la Chiesa, proclamando Beato don Puglisi, dice: la mafia è un'altra religione, siamo due mondi a parte. E il parroco di Brancaccio è oggi un martire come i missionari che vengono trucidati in Africa o i sacerdoti che furono uccisi dai nazisti. I mafiosi, rappresentanti di un'altra religione, per odio alla fede cristiana hanno cercato di far tacere la sua voce. Ma, come ha detto Papa Francesco, "pensavano di averlo sconfitto, ma è lui che ha vinto".
(www.soveratiamo.com)

DON CIOTTI: PUGLISI UNA SPINA NEL FIANCO PER LA CHIESA E PER TUTTI NOI


ECCO COME IL FONDATORE DI LIBERA RICOSTRUISCE LA TESTIMONIANZA DEL PARROCO-MARTIRE
«Era uno che non si era incanalato, che faceva di testa sua». «Predicava, predicava, prendeva ragazzini e li toglieva dalla strada... Martellava e rompeva le scatole».
Queste parole di Gaspare Spatuzza e di Giovanni Drago, mafiosi divenuti collaboratori di giustizia, basterebbero a spiegare, nella loro rozza schiettezza, perché don Pino Puglisi è stato ucciso.
Ma sono molto lontane dal dire chi davvero fosse don Pino Puglisi, da cosa nasce quel "rompere le scatole" che lo avrebbe esposto alla vendetta del crimine mafioso.
È quello che cerca di fare questo libro di Francesco Deliziosi. Libro bello e importante perché, con mirabile sintesi, riesce a fondere il "soggettivo" e l'"oggettivo". Deliziosi scrive infatti sia in base alla conoscenza diretta - è stato amico e allievo di Puglisi - sia in base a una profonda, rigorosa documentazione (ha fatto parte, tra l'altro, della commissione preposta a raccogliere il materiale per avviare il processo di beatificazione di Puglisi).
Chi era dunque don Puglisi?

lunedì 18 agosto 2014

PADRE PUGLISI, IL SUO METODO, LA PARROCCHIA E I GIOVANI/4

PADRE PUGLISI, IL SUO METODO, LA PARROCCHIA E I GIOVANI/4

Materiali utili in particolare per le ricerche scolastiche


(quarta e ultima parte)


UN NUOVO MODELLO DI PRETE E DI PARROCCHIA
Detto tutto questo, possiamo adesso calarci nello specifico delle vicende che hanno portato all'omicidio Puglisi (per questa parte un contributo arriva anche dalle riflessioni di padre Cosimo Scordato pubblicate sulla rivista della Facoltà Teologica di Sicilia). E delineare alcune indicazioni che rappresentano un patrimonio prezioso per una "chiesa di frontiera" come quella siciliana (anche questa è una definizione del Papa).

C'è innanzitutto da analizzare il motivo dello scontro tra la mafia e don Puglisi.
Don Pino propone a Brancaccio un modello di prete che i boss non riconoscono, mentre si sono sempre mostrati pronti ad accettare e "rispettare" un sacerdote che sta in sacrestia, tutto casa e chiesa, promotore di processioni - magari al fianco dello "Zio Totò" di turno -, che "campa e fa campari".

Padre Puglisi sceglie invece di uscire dalla sacrestia e di vivere fino in fondo i problemi, i rischi, le speranze della sua gente. Desidera in quanto parroco, la liberazione e la promozione del suo popolo.
Don Puglisi propone inoltre un nuovo modello di parrocchia.
Tra le sue iniziative, ad esempio, c'era la richiesta di servizi e di una scuola media per Brancaccio.
Fu un continuo pungolo per le istituzioni. Da qui una serie di manifestazioni, di contatti con lo Stato, di proteste civili.
Tutto questo avviene alla luce del sole, lontano dall'altare, con gesti che per la loro visibilità non passano inosservati: sono scelte ben precise e compiute con la consapevolezza del loro effetto dirompente sugli equilibri mafiosi.
"Non dobbiamo tacere", diceva don Pino ai parrocchiani più timorosi nei giorni delle minacce, degli attentati che preludevano all'agguato.
E aggiungeva, citando San Paolo, "si Deus nobiscum, quis contra nos?" (se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?).
Sono scelte che lasciano intravedere l'immagine di una Chiesa che ha deciso di essere "debole con i deboli", di stare dalla parte degli ultimi, che crede nelle istituzioni, senza supplenze o logiche clientelari.
Senza supplenze perché la Chiesa non deve occupare spazi o compiti amministrativi che non le competono.
Senza logiche clientelari, ovvero senza prestarsi alle pressioni, alle richieste di raccomandazioni e di servitù al politico di turno (quando a Brancaccio arrivavano questi ultimi, don Pino li metteva alla porta insieme con i loro facsimili elettorali).
È questa di Padre Puglisi una chiesa, insomma, che si cala nella realtà del territorio e dei suoi bisogni: questo è il banco di prova di una testimonianza che vuole essere veramente evangelica.


E se la Chiesa, tutta la Chiesa, saprà fare propria questa lezione allora per davvero la figura del piccolo prete di Brancaccio, caduto sotto i colpi della violenza omicida, non porterà più su di sè i segni cruenti della sconfitta, ma le stimmate di una dignità feconda, carica della forza della risurrezione.
 Francesco Deliziosi(RIPRODUZIONE RISERVATA)

La Chiesa di fronte alla mafia