mercoledì 12 ottobre 2016

"MIO FRATELLO UCCISO DA GRIGOLI. ALMENO CI FACCIA RITROVARE IL CORPO"


12 Ottobre 1992 a Palermo viene ucciso (e il suo cadavere occultato), l'ex agente della polizia di Stato, e in quel periodo venditore di auto, Serafino Ogliastro (31 anni). Anni dopo, il killer Salvatore Grigoli (lo stesso uomo che sparò a padre Pino Puglisi) ammettera' di averlo ucciso lui insieme ad altri complici mafiosi. Aggiungendo di non ricordare dove si trovi il corpo. Da anni la famiglia attende di riavere i resti del proprio congiunto. L'appello della sorella Angela nell'anniversario del delitto.

Ex agente della polizia di stato, ucciso a Palermo da Salvatore Grigoli con il metodo della lupara bianca. I mafiosi di Brancaccio sospettavano che Ogliastro nell'ambito del suo lavoro fosse venuto a conoscenza degli autori dell'omicidio di un mafioso, Filippo Quartararo. Al processo, Grigoli si autoaccusò dell'omicidio indicando altri 7 complici.
Angela Ogliastro porta sul corpo i segni della disperazione: un tumore al cervello è stata la conseguenza di un’attesa durata anni, dal 12 ottobre ‘92, giorno in cui suo fratello Serafino, ex poliziotto e all’epoca venditore di auto, scomparve nel nulla. «Nessuno coltiva la cultura dell’odio», dice riferendosi anche ai suoi genitori. «Per anni, però, siamo vissuti con l’onta di aver avuto un fratello scomparso perché ucciso dalla mafia.
«Mio fratello lo abbiamo cercato ovunque, speravamo in un colpo di testa. Ci rivolgemmo persino a Chi l’ha visto? e, la sera della trasmissione, gli assassini di Serafino seguirono la televisione sganasciandosi dalle risate. Grigoli lo racconta nei suoi verbali. Certo, è stato lui a rivelarci la fine di mio fratello, che quel giorno verso la 13 si recò nell’autosalone dove c’erano Grigoli, Spatuzza e gli altri. La mafia riteneva che Serafino fosse venuto a conoscenza dell'identità dell'assassino del boss Quartararo. Lo interrogarono con i metodi che usa la mafìa, torturandolo. Lo strangolarono in sei e alla fine lo caricarono su una 127 andandolo a seppellire non sa dove.
«Lo so che non si può vivere eternamente nell’odio, e so anche», aggiunge Angela trattenendo le lacrime, «che i collaboratori di giustizia sono necessari per combattere la mafia e che, per assurdo, devo dire grazie a Grigoli che ci ha svelato il mistero della fine di mio fratello e soprattutto che quella morte fu un errore. Ma io chiedo a quest’uomo che oggi si gode la sua famiglia e i suoi figli e che addirittura viene indicato come testimone della santità di Padre Puglisi: “Perché non ci ridai il corpo di Serafino? Perché non consenti a mia madre e mio padre di andare a piangere sulla tomba che attende i resti di un innocente?”».
«Lo so che il mio pentimento non restituirà mai la vita alle 46 persone che ho ammazzato», ha scritto anni fa Salvatore Grigoli al successore di padre Puglisi, don Mario Golesano, «Ma la faccia del Padre il giorno dell’omicidio, quando Gaspare Spatuzza gli disse: “Questa è rapina!” e lui si voltò e, guardandoci in faccia, rispose: ‘‘Me l’aspettavo!”, non posso proprio togliermela dagli occhi. Se oggi sono in questa condizione di ravvedimento, lo devo soltanto a lui. D’altronde, mi da conforto sapere che Gesù, morendo sulla croce ha pensato anche a me, si è sacrificato per me, per la mia redenzione. Io so che il mio cammino sarà completato un giorno quando, incontrando una persona qualunque, potrò guardarla in faccia e dirle: “Buongiorno”, sapendo di rivolgermi a lei purificato.
Angela Ogliastro scuote il capo, alza gli occhi al cielo per ingoiare le lacrime, accarezza la sua cagnolina, poi ti guarda come se dovesse esplodere: «Noi non chiediamo vendetta, ma non è giusto che quello non stia in carcere. Il suo pentimento, se davvero fosse sincero, si sarebbe manifestato innanzitutto verso le vittime sconosciute, quelle che non appaiono sui giornali. Invece ci sembra strumentale che Grigoli voglia parlare solo di don Puglisi e si dimentichi altamente delle altre vittime.
«A noi non ha scritto neppure un rigo per chiederci quel perdono che forse gli concederemmo pure. Ma essersi arrogato il diritto di togliere la vita, di interrompere a 31 anni il cammino di un uomo padre di due figli, di averci negato il piacere di gioire assieme a lui a Natale, nei compleanni e negli altri momenti di intimità familiare, deve avere un prezzo. Lui, addirittura, sogna un futuro per sé e i propri figli. E i figli di mio fratello? E i miei genitori devastati da questa tragedia? Qualcuno ci deve aiutare, non possiamo essere lasciali soli a guardare, come spettatori impotenti, gli avvenimenti che si succedono contro la nostra volontà. Ci siamo costituiti parte civile contro Grigoli e gli altri assassini di mio fratello, compresi i Graviano, famiglia mafiosa di Brancaccio. Ma vi siete chiesti perché siamo gli unici ad aver avuto questo coraggio?...».
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Articolo e foto tratto dalla pagina facebook "Dedicato alle vittime della mafia" Questo il link per collegarsi alla pagina, che ringraziamo per come tiene viva la memoria delle vittime. 


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