lunedì 8 agosto 2016

PADRE PUGLISI E IL PAESE CHE CAMBIO' COL PERDONO

Godrano, celebrazione all'aperto 27 luglio 1972


«Dove sta andando la tua vita?»
di Francesca Pomara

Questa storia comincia a Godrano, un paesino montano in provincia di Palermo, luogo di nascita dei miei genitori, centro affettivo della nostra famiglia, dove settimanalmente ci recavamo per visitare i nonni e dove trascorrevamo gran parte delle nostre vacanze estive.
Questo paese, seppure piccolissimo, dove tutti gli abitanti erano legati da vincoli di parentela, aveva vissuto un periodo tristissimo a causa di una faida di stampo mafioso che aveva provocato molti morti e questa vicenda, sebbene arginata e conclusa tanti anni prima, in qualche modo aveva lasciato segni incancellabili anche nelle generazioni successive, creando un ambiente molto diffidente e chiuso e carico di livore.


Dal 1970 al 1978, questo paese venne letteralmente sconvolto dall’arrivo di un giovane sacerdote: padre Pino Puglisi, detto 3 P, per via di queste tre iniziali.
Un giovane, alto, magro, con una voce dolce, dai modi gentili, ma con uno sguardo netto, profondo, diverso dai sacerdoti del tempo, anche nell’aspetto, a partire dal fatto che non portava la talare, ma i pantaloni.
Certo, a prima vista non appariva come una persona forte, ma colpiva subito la sua intelligenza acuta e sottile che gli consentiva di adattarsi velocemente a qualsiasi situazione e a qualsiasi persona che riusciva a mettere a proprio agio a prescindere dall’età, dal ceto sociale o dall’istruzione o dal ruolo ricoperto. 
Era poi dotato di un’ironia affabile, carica di autorevolezza che lo rendeva simpatico e incredibilmente “vicino”. Non c’era bisogno di appuntamento per incontrarlo, bastava attenderlo in qualche punto del paese o a casa sua, considerata la sua abitudine di lasciarla “aperta” e di non avere un orario fisso per mangiare o riposare, attività marginali rispetto alla possibilità di potere incontrare e ascoltare chi ne avesse bisogno.

D’inverno, ritornato da scuola dove insegnava, ogni giorno si intratteneva con tutti, soprattutto con i bambini e i ragazzi, con i quali giocava a calcio, nello spazio antistante la canonica, mentre nelle sere d’estate era solito organizzare meravigliose “giocate di nascondino” non solo con i bambini, ma anche con i giovani più grandi.
Ci invitava a pranzo, ci faceva stare nel suo studio, ci prestava i libri, ci faceva ascoltare musica, ci affascinava con racconti e poneva domande di ogni tipo, sui nostri desideri, sui nostri problemi e un giorno ci insegnò la preghiera spontanea, facendoci trovare dei foglietti e delle penne ci propose di scrivere un pensiero, una richiesta alla Madonna, da depositare in un cestino davanti all’altare. Una novità assoluta, rispetto alla recita delle preghiere tradizionali e che creò un coinvolgimento ed una eccitazione pazzeschi, con la produzione di circa 500 bigliettini, perché nessuno voleva dimenticare di pregare per qualcuno. 
3 P aveva una forza magnetica, tutti si sentivano attratti o quantomeno incuriositi da questo prete sorridente e mite che ti guardava dritto negli occhi.

In quel periodo gli uomini del paese non frequentavano la chiesa e, durante la celebrazione della messa, stavano fuori dalla porta ad osservare, così un giorno padre Puglisi decise di celebrare la messa all’aperto. Memorabili le sue parole quel giorno, chiare semplici e definitive sul fatto che la fede non può essere un’idea, una tradizione e che essere cristiani pretende un cambiamento nella vita di ciascuno, non a parole, ma concretamente. 

E così decise di lanciare la “Crociata del Vangelo” (movimento francescano con cui collaborò, ndr), organizzando degli incontri, detti Cenacoli, presso le famiglie. In questi incontri si cantava, si leggeva un pezzo di Vangelo, si commentava e si pregava. Nel giro di poco tempo, superata l’iniziale diffidenza, tutte le famiglie furono visitate e messe in relazione tra di loro, non più solo per la parentela, ma per Gesù Cristo e nel tempo, padre Puglisi riuscì a far comprendere che solo la forza del perdono può donare la pace del cuore e che bisogna liberarsi dal fardello dell’odio e non trasferirlo ai propri figli.
Inoltre, poiché “u parrinu” (il prete), che viveva una vita di stile francescano e non sembrava avere tra i suoi obiettivi principali quello dell’alimentazione, cominciò una vera e propria gara di solidarietà e tutti portavano doni alimentari in parrocchia che lui puntualmente ridistribuiva ai più poveri. 
Non si curava neanche dell’abbigliamento e siccome c’era molto freddo un giorno, mio nonno gli regalò un eskimo, uguale al suo, che padre Puglisi portò sempre. 

Divenne “normale” andare in Chiesa non solo la domenica, vennero giovani da Palermo per la “Settimana del Vangelo” che cantavano e suonavano la chitarra durante le celebrazioni, giocavano e organizzavano gite con i bambini, proiettavano e commentavano film davanti alla canonica. Un paese in subbuglio, anzi in festa perenne.
Ricordo quei momenti con grande nitidezza e commozione per la prima volta avevo la sensazione che Gesù fosse una persona reale e che seguirlo significava essere trascinati da una bellezza travolgente e da una passione incredibile per tutta la realtà e che questo fosse nato a partire dall’incontro con un uomo, 3P appunto, dietro cui era impossibile non intravedere il volto di Dio.

In quel periodo, padre Puglisi intraprese una vera e propria battaglia culturale per l’emancipazione femminile che portò a numerosi scontri con i genitori, per convincerli che non c’era niente di male nel fare le riunioni “maschi e femmine” , nell’andare al campeggio o a vedere l’alba su Rocca Busambra, o studiare e lavorare, seppure lontani da casa, a Palermo. Fu una battaglia dura, contro i pregiudizi, le riserve ideologiche e l’ignoranza, ma padre Puglisi tenacemente la vinse.
Vennero organizzati gruppi di studio, seminari su temi importantissimi come l’aborto, il divorzio, il razzismo, la fame nel mondo, il terrorismo, la politica, la droga.
3 P riteneva interessante tutto, ci forniva libri di letteratura, poesie, teatro, sociologia, articoli, giornali, audiovisivi, dischi. Ci faceva studiare le Encicliche e i documenti del Concilio. Illustrava personalmente le questioni o invitava amici suoi a farlo, animava i dibattiti, fornendo un giudizio su tutta la realtà alla luce della fede, dicendo che ogni cristiano poteva farlo, perché nel Vangelo c’era ogni risposta.
Organizzava campeggi, gite, pellegrinaggi, escursioni naturalistiche alla scoperta del bosco e dei suoi segreti. Come quando andammo a Gorgo del Drago, ultima palude esistente (oggi prosciugata) nel territorio, dove prima di celebrare messa ci fece una vera lezione di scienze. 
Ricordo il suo stupore e il suo entusiasmo di fronte ad una libellula, ad un falco ferito o davanti ad un tramonto o in mezzo ad un campo di frumento o ai piedi della montagna o facendoci dissetare ad uno ad uno alla sorgente “Oliva”. Aveva un’unica preoccupazione che capissimo Chi fosse all’origine di quella bellezza che si svelava ai nostri occhi.

Si avvaleva di tutti: mamme, papà, giovani, ragazzi e persino gli anziani. La regola era che chiunque poteva lavorare alla messe del Signore, offrendo i propri talenti, sostenendo i più fragili. 
Storica la ristrutturazione dei locali della Parrocchia in occasione di una visita pastorale del cardinale Pappalardo, che vide tra le “maestranze” tutto il paese, compreso mio nonno che si offrì di fare da imbianchino. Fu mitico l’acquisto di un pulmino della Polizia di quindicesima mano che, tolti lampeggianti e scritte, venne ridipinto a mano con vernice verde dai ragazzi più grandi e utilizzato per la prima volta per portare i ragazzi al mare. E per molti era la prima volta.
Si costituì una folta squadra di chierichetti e, per la prima volta, vennero ammesse a questo servizio anche le bambine. Per la Prima Comunione vennero cucite delle tunichette uguali per tutti e le processioni divennero occasioni di preghiera e non passeggiate confuse e fonti di chiacchiere. Padre Puglisi amava la tradizione, ma voleva che tutto fosse segno di un’appartenenza vera alla Chiesa e non appena un rito.
Per Natale, dopo la Novena, giocava con noi nel salone parrocchiale a Tombola e a Mercante in Fiera, radunando tutti, ma proprio tutti i bambini e i ragazzi del paese, al punto che bisognava giocare a gruppetti perché le carte non bastavano.
Ogni gesto si concludeva con un canto, una piccolissima riflessione e una preghiera.
Nessuno si poteva sottrarre agli inviti affettuosi del sacerdote: i Sacramenti venivano amministrati, previa preparazione, molte volte “a domicilio” dei parrocchiani, che settimanalmente ricevevano un foglietto con una frase del Vangelo della domenica, per prepararsi alla messa.

Padre Puglisi non aveva riserve nei confronti di nessuno, accoglieva tutti, anche quei giovani detti “extraparlamentari” o gli “evangelisti”, di cui c’era una certa presenza a Godrano. Parlava moltissimo anche con gli anziani. Sfidava tutti, ma non era arrogante, né le sue parole erano altisonanti, ma taglienti sì, non si prestavano ad equivoci o ad interpretazioni, per lui era: «Si, si, no, no».
«Ascoltate gli altri, mangiate con loro, non abbiate fretta, nessun uomo è lontano da Dio, ma ognuno è libero di rispondere o meno; ogni cuore ha i suoi tempi, quando è pronto si aprirà», raccomandava.
Ci diceva poi che nessuno poteva essere felice, se nei luoghi in cui viveva c’era miseria, ingiustizia, ignoranza, violenza e che il compito principale di ciascuno era innanzitutto aiutare quel prossimo, quello più vicino a te, il reietto, anche solo abbracciandolo. Dettagli, piccolissimi dettagli che ridisegnarono il volto del paese e sostanzialmente lo “evangelizzarono”. Dettagli che svelavano come si vive per un Altro. 
Fatti i debiti distinguo, non è difficile immaginare che Padre Puglisi abbia usato questo stesso metodo a Brancaccio, luogo dove è stato ucciso.

Così per tutta la mia adolescenza, settimanalmente, continuai ad incontrare padre Puglisi e stabilii con lui un legame forte e profondo che durò anche quando venne trasferito a Palermo e nominato responsabile del Centro Vocazionale .
Andavo spesso a trovarlo, anche perché il Centro si trovava in via Dante, vicino al mio liceo, per chiedergli consiglio sulla mia vita e sulle mie scelte. Erano anni duri, in cui la provocazione ideologica marxista la faceva da padrona e ci allettava con i suoi ideali di giustizia sociale e rivoluzionari.
Mi ricordo che a questo proposito padre Puglisi diceva che quegli ideali erano giusti, legittimi, ma che non erano giuste le risposte, il ricorso alla violenza per la loro affermazione, mi richiamava sempre a cercare la verità ultima delle cose e di non fermarmi all’ovvio, all’apparenza, alla risposta più semplice. E che quello che bastava in ogni caso era la fedeltà al Vangelo.
Mi diceva sempre di ascoltare il mio cuore e di chiedermi sempre verso dove volevo che andasse la mia vita. «Si, ma verso dove?», era la sua domanda ricorrente ed incalzante. Di fronte ai nostri dubbi e come criterio per le nostre scelte suggeriva sempre di chiedere le ragioni di tutto, di esaminare ogni cosa, trattenendo il buono che c’era, di cercarlo e di fidarci sempre di Gesù che non aveva mai tradito nessuno, anche se era stato tradito e continuava ad esserlo ad opera nostra. «Bussate e vi sarà aperto, chiedete e vi sarà dato».

Mi chiamava “Franceeeesca” con la “e” aperta, per il mio modo di parlare palermitano e considerata la mia esuberanza e la facilità di parola che mi caratterizzava, mi provocava sempre e mi chiedeva di esprimere la mia opinione continuamente su tanti temi scottanti e diceva che il compito di ogni cristiano era essere testimone di quello che accade nella vita di ciascuno dopo l’incontro con il Signore e di come il Signore sia l’unica risposta a quella sete di infinito che abita il cuore di ogni persona, generando uomini nuovi, uomini veri. 
Diceva, infatti, che la testimonianza era un servizio autentico alla verità, che non può essere negata né taciuta. Si esprime non solo con idee o parole, ma soprattutto attraverso la vita vissuta, le scelte concrete.
Diceva pure che questa parola nel più antico dei suoi significati, etimologicamente deriva dalla parola greca martirio, può implicare anche il sacrificio della propria vita e che bisognava essere pronti per difendere la Verità.

In quel periodo ero entrata a far parte dell’Azione Cattolica nella mia parrocchia, ma ero insoddisfatta, irrequieta, non mi bastava e lui mi disse di riflettere sulla mia vocazione, di capire il modo particolare con cui il Signore voleva essere seguito da me, di cercare il carisma più adatto a me.
Un giorno gli dissi che avevo incontrato all’università una ragazza di Comunione e Liberazione e che questo movimento mi piaceva molto per il modo in cui si proponeva e che in un libro del suo fondatore don Luigi Giussani, Tracce di esperienza cristiana, avevo trovato le stesse cose che lui ci aveva sempre detto ed in particolare che: «La fede è riconoscere una Presenza eccezionale, la Presenza dell'infinito tra noi, in carne ed ossa. Riconoscere la Presenza di Cristo. La fede è un metodo di conoscenza che impegna nel suo avvenimento la totalità della persona». O a proposito della cultura: «La cultura è lo svilupparsi di una riflessione critica e sistematica sull'esperienza, attuata a partire da un fattore determinante. Il fattore determinante, genetico, di una cultura cristiana è Cristo». O ancora a proposito dell’amicizia: «L’amicizia è una compagnia guidata al destino».
A quel punto, padre Puglisi mi disse sorridendo: «Vai, questa è la tua strada, questo è il cammino che devi fare ed è su questa strada che ci incontreremo per sempre», e aggiunse: «L’unico dubbio è che quando ti conosceranno, dovranno chiamarsi: “Comunione e Disperazione”!».

Quello fu uno degli ultimissimi incontri, perché poi lo trasferirono a Brancaccio ed io andai a lavorare a Milano. Capii subito che Brancaccio sarebbe stato per lui un luogo difficile, ma mi fu chiaro che non si sarebbe mai sottratto alla sua missione, né che avrebbe adottato misure cautelative o rinunciato al suo modo di essere un sacerdote di Dio, solo un sacerdote e nient’altro.
Quando seppi della sua morte, compresi infatti che non era successo altro che quello che ci aveva detto e testimoniato tutta la vita: «Il discepolo di Cristo è un testimone. La testimonianza cristiana va incontro a difficoltà, può diventare martirio. Il passo è breve, anzi è proprio il martirio che dà valore alla testimonianza. Ricordate san Paolo: “Desidero ardentemente persino morire per essere con Cristo”. Ecco, questo desiderio diventa desiderio di comunione che trascende persino la vita» (padre Pino Puglisi) 
Fonte: www.tracce.it
Maggio 2013

5 commenti:

  1. Indimenticabili le Settimane del Vangelo a Godrano ad una delle quali ho partecipato da adolescente.
    Carlo Genova

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  2. SANTO SUBITO. GRANDE, DEGNO.
    Giuseppe Crimaldi

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  3. Anch'io, giovane seminarista, anno 1972 partecipai ad una delle settimane del vangelo al bosco di Godrano. Tempi memorabili soprattutto per avere iniziato una bella amicizia ricca di dialogo e grande umanità del caro P. Pino, oggi beato.
    Vincenzo Monaco

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  4. Fiera di aver conosciuto una persona del suo calibro.... Ahimè il paragone, costante, non trova, oggi più che mai, riscontro!!
    Linda Fiorini

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