sabato 3 gennaio 2015

I VESCOVI CALABRESI: LA 'NDRANGHETA OPERA DEL MALIGNO E STRUTTURA DI PECCATO CHE TRADISCE IL VANGELO

Papa Francesco a Sibari, durante la visita in Calabria, ribadisce la scomunica per tutti i mafiosi

“La ‘ndrangheta è una struttura di peccato che stritola il debole e l’indifeso, calpesta la dignità della persona, intossica il corpo sociale”. A scriverlo sono i vescovi calabresi in una nota pastorale di portata storica, intitolata “Testimoniare il Vangelo” e appena pubblicata. “Chi fa parte della ‘ndrangheta – si legge nel documento – non solo tradisce il Vangelo, ma è come se vivesse calpestandolo ogni giorno”. E' chiara l'eco delle parole di Papa Francesco pronunciate durante la sua visita in Calabria del giugno scorso, durante la quale fu ribadita la scomunica dei mafiosi. La nota si apre infatti con due citazioni dall'intervento del Papa (per rileggere le sue parole  clicca qui ). 
Di seguito il testo integrale della nota dei vescovi calabresi:
 
TESTIMONIARE IL VANGELO

Nella pietà popolare, poiché è frutto del Vangelo inculturato, è sottesa una forza attivamente evangelizzatrice che non possiamo sottovalutare: sarebbe come disconoscere l’opera dello Spirito Santo. Piuttosto, siamo chiamati ad incoraggiarla e a rafforzarla per approfondire il processo di inculturazione che è una realtà mai terminata. Le espressioni della pietà popolare hanno molto da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle, sono un luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione.
FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 126.

La vostra terra, tanto bella, conosce i segni e le conseguenze di questo peccato. La ’ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato! Bisogna dirgli di no! La Chiesa che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere.
FRANCESCO, Visita Pastorale a Cassano allo Jonio, Omelia nella Santa Messa sulla spianata dell’area Insud, Sibari 21 giugno 2014.

INDICE
I. LA CHIESA ESPERTA IN UMANITA’ 
II. LA CHIESA DINANZI AL DOLOROSO MALE DELLA ‘NDRANGHETA 
III. LA CHIESA E LE ISTITUZIONI DELLO STATO 
IV. MESSAGGIO DI SPERANZA E INVITO ALLA CONVERSIONE

I. LA CHIESA ESPERTA IN UMANITÀ
1. La Calabria è una terra meravigliosa, ricca di uomini e donne dal cuore aperto ed accogliente, capaci di grandi sacrifici. I calabresi possiedono come dono di natura una vitalità culturale e sociale, che si esprime in tutte le realtà associative, laiche ed ecclesiali, attraverso alcuni valori, quali la tensione al bello e al bene, il senso di solidarietà, di legalità, di giustizia. Valori, che aspettano solo di essere sempre meglio incanalati nella luce del Vangelo. D’altra parte, però, la disoccupazione, la corruzione diffusa, una politica, che tante volte sembra completamente distante dai veri bisogni della gente, sono tra i mali più frequenti di questa nostra terra, segnata, anche per questo, dalla triste presenza della criminalità organizzata, che le fa pagare un prezzo durissimo in termini di sviluppo economico, di crisi della speranza e di prospettive per il futuro.
2. La Calabria, pertanto, vive oggi (ma è un “vissuto”, che viene da lontano e si trascina da diversi decenni) in un contesto culturale e umano, sociale e politico di crisi profonda, che investe – per certi versi – anche la vita morale e religiosa dei calabresi. Resistono, ancora, in Calabria alcuni grandi valori che sono fortemente incisi nel tessuto della vita del nostro popolo: lo stile dell’accoglienza, l’attenzione per i più deboli, il sentimento religioso che permette di guardare in alto, la stima per la Chiesa della quale ci si sente parte, il desiderio di costruirsi una famiglia, l’impegno di educare i figli e di trasmettere l’eredità di una storia, vissuta come sacra.
La Calabria, nondimeno, si trova, per altri versi, dentro un “vuoto” che appare profondo. Un vuoto di certezze, di presenza, di fiducia, di impegno, di speranza, di prospettive, di esempi: un vuoto di “fatti”. Questo vuoto, che tocca le stesse Istituzioni, lacera il tessuto della politica, coinvolge a tutto campo il mondo del lavoro, induce la gente a chiudersi nel “privato”, diffonde la sfiducia, riduce la speranza dei giovani, favorisce spesso la fuga da questa terra delle intelligenze più vive.
Un vuoto, che altera anche la capacità di discernimento, con la conseguenza che ora, nonostante l’atavico attaccamento ad essi, sta diventando difficile, anche in Calabria, difendere alcuni dei valori più grandi, perché si va diffondendo una cultura che corrode le radici dell’idea stessa di “vita umana” e di “famiglia naturale”, dell’amore inteso come dono di sé, del “bene comune” come obbiettivo per guardare oltre se stessi, della legalità come “rispetto” di ogni legge e dell’altro, del coraggio della “denuncia” come espressione concreta della passione interiore per la “libertà” di ognuno di essere se stesso.
3. La Chiesa, “mistero e comunione”, è definita dalla Costituzione Lumen gentium del Concilio Vaticano II con l’immagine biblica di “popolo radunato” dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo con il compito di essere segno e richiamo per mantenere viva la speranza nel mondo . La Chiesa, Popolo di Dio radunato nel vincolo della Trinità, manifesta la sua credibilità in un orizzonte di fede, quando c’è la disponibilità a coglierne la proposta e il senso della sua presenza nella storia dell’umanità.
4.La Chiesa non è Cristo, ma vive di Cristo: Egli è presente nella Chiesa, che é il Suo popolo, il Corpo, di cui Egli è il capo; e attraverso la Chiesa Cristo opera nel mondo. Le due dimensioni, umana e divina, della Chiesa, la innestano nel tempo e nell’eterno e sono parimenti necessarie alla sua identità.
Segno della salvezza, donata dal Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo, la Chiesa si manifesta nella sua identità di “comunione e missione” vivendo sulle strade dell’uomo l’annunzio e la testimonianza del Vangelo. Incarnando la dimensione di servizio, propria del Cristo, la Chiesa “militante”, pellegrina sulle strade della storia, percorre il proprio cammino tra le persecuzioni del mondo e la consolazione di Dio .
Proprio per questo ogni persona, ma specialmente chi si trova in una dimensione di vulnerabilità e di fatica, trova piena ospitalità nei percorsi pastorali della Chiesa di oggi e di sempre: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” .
La Chiesa Calabra, da parte sua, seguendo l’insegnamento evangelico e l’esortazione conciliare, avverte il grido di un popolo e di un territorio ferito nella sua dignità; accompagna il cammino sofferente di chi porta sulle spalle il peso di frequenti ingiustizie e di atteggiamenti estorsivi; dentro i quali la mancanza di lavoro si salda con la piaga del lavoro nero; il ricatto e l’usura si sposano con la promessa di guadagni facili attraverso la chimera del gioco d’azzardo; e, sulla frontiera devozionale, all’intercessione dei santi patroni del cielo si sostituisce l’affidamento ai “padrini” di questa terra.
5. La realtà criminale ha raggiunto ormai una dimensione “globalizzata”, in grado di aprire i propri spazi di “mercato di morte” oltre i confini nazionali ed europei, trovando in alcune frange della politica e dei poteri forti deviati connivenze e collusioni, che le permettono di piegare ai propri fini i suoi alleati, tante volte prezzolati in termini di denaro pulito e sporco, di tangenti, di favori e di raccolta di voti e consensi.
Sempre più frequente è l’offerta di protezione e sicurezza dei piccoli e grandi cantieri ed un’apparente vivibilità ottenebrata spesso da oscure e minacciose presenze, che si impongono anche con violenti atti intimidatori. Dinanzi a questo scenario di lacerazione della dignità della persona, in cui si affossano la vita e la speranza, la Chiesa di Calabria si china sull’uomo ferito e grida il suo dolore e la sua indignazione.
6. E’ proprio per questo che noi, Vescovi di Calabria, in continuità con gli interventi del Magistero episcopale calabrese dell’ultimo quarantennio , oggi con ancora più forza e urgenza, sentiamo ineludibile il dovere di rivolgerci collegialmente, non solo ai fedeli delle Chiese di Calabria, ma a tutti i cittadini di questa terra, amata e martoriata, per offrire loro una “lettura”, alla luce dell’eterno Vangelo, dell’attuale momento storico, particolarmente in rapporto al deprecabile fenomeno ‘ndranghetista. E ciò al fine di contribuire – sulla base della nostra quotidiana e concreta esperienza di Pastori – alla “promozione” globale della Calabria intera: una promozione, non solo morale e religiosa, ma umana e culturale, sociale e politica.
Il nostro intento, in questa Nota Pastorale, non è di leggere il Vangelo alla luce delle situazioni difficili e, per certi versi, drammatiche di questa Terra: ma, al contrario, di leggere queste situazioni alla luce del Vangelo. Nel primo caso, infatti, ci sarebbe il rischio di “adattare” il Vangelo alle “situazioni concrete”, quasi un gesto di “misericordia”; ma si finirebbe, in fondo, con il tradirlo. Nel secondo, invece, che è quello che scegliamo, si tratta di lottare per accompagnare e condurre, con atteggiamenti di misericordia e di chiarezza insieme, la vita concreta della gente di Calabria verso le altezze dell’eterno Vangelo, convinti che la Misericordia non possa essere mai disgiunta dalla Verità, né la Verità dalla Misericordia, “vivendo secondo la verità nella carità” (Ef 4,15). Consapevoli delle insidie terribili che la ‘ndrangheta comporta, vogliamo, perciò, formulare ad alta voce il nostro appello a testimoniare la verità del Vangelo, soprattutto oggi, in questo difficile contesto.
II.LA CHIESA DINANZI AL DOLOROSO MALE DELLA ‘NDRANGHETA
7. Le Chiese di Calabria, in tutte le loro componenti presbiterali, consacrate e laicali, desiderano, oggi più che mai, compiere un vero e proprio pellegrinaggio nella verità della fede, per crescere nell’adesione e nella comprensione, nell’accoglienza e nell’obbedienza a Cristo Signore e così acquisire un vero stile testimoniale. Di fronte alle sfide, che emergono nel nuovo contesto socio-culturale che si va delineando, nel quale la Chiesa è ulteriormente chiamata ad evangelizzare e ad essere “città collocata sopra un monte” (Mt 5,13-16), i Pastori delle Chiese, che sono in Calabria, vogliono far riecheggiare l’indimenticabile grido contro la mafia, lanciato da san Giovanni Paolo II: “Convertitevi, verrà il giudizio di Dio” . Non fu solo un grido, né solo un appello, ma l’indirizzo preciso in vista di un impegno nell’individuare nuove vie, nella luce della fede cristiana, per generare e ri-generare cristiani autentici, credenti credibili, donne e uomini testimoni operosi nella vita familiare, sociale e professionale e nel servizio all’umanità.
8.Nella sessione straordinaria della C.E.C. del 17 luglio 2014, tenutasi presso il Santuario di Paola, noi Vescovi di Calabria abbiamo fortemente ribadito che “la ‘ndrangheta è negazione del Vangelo” . Tale sessione straordinaria era stata da Noi prospettata nella CEC del 7-8 aprile, a Catanzaro, quando, riservandoci di “approfondire il tema dell’azione pastorale della Chiesa contro la ‘ndrangheta in vista di un impegno più specifico”, avevamo anche approvato l’introduzione nei nostri Istituti teologici e di scienze religiose di un corso sul tema “Chiesa-‘ndrangheta”, che verrà attivato nel secondo semestre di quest’Anno Accademico 2014-2015. In quella circostanza, nella Dichiarazione Su alcuni temi della vita della Chiesa in Calabria, avevamo già ripreso con maggiore energia l’impegno educativo ed ecclesiale di fronte alla ‘ndrangheta, che papa Francesco ha poi arricchito nella sua omelia a Sibari .
La ‘ndrangheta non ha nulla di cristiano. È altro dal cristianesimo, dalla Chiesa. Non è solo un’organizzazione criminale che, come tante altre, vuole realizzare i propri illeciti affari con mezzi altrettanto illeciti e illegali, ma – attraverso un uso distorto e strumentale di riti religiosi e di formule che scimmiottano il sacro – si pone come una vera e propria forma di religiosità capovolta, di sacralità atea, di negazione dell’unico vero Dio. L’appartenenza ad ogni forma di criminalità organizzata non è titolo di vanto o di forza, ma titolo di disonore e di debolezza, oltre che di offesa esplicita alla religione cristiana. L’incompatibilità non è solo con la vita religiosa, ma con l’essere umano in generale. La ‘ndrangheta è una struttura di peccato che stritola il debole e l’indifeso, calpesta la dignità della persona, intossica il corpo sociale.
9.Nel corso di quest’anno, diversi accadimenti hanno stimolato la nostra riflessione e hanno fatto emergere l’esigenza di un intervento forte dell’episcopato calabro. Del resto, le parole chiare pronunciate da papa Francesco, in Visita Pastorale a Cassano all’Jonio, oltre ad evidenziare la gravità di alcune situazioni, hanno ribadito con chiarezza la distinzione tra il Vangelo, la sua coerente attuazione personale e comunitaria, da una parte; e qualsiasi effettiva o presunta aggregazione mafiosa, dall’altra. “Quando non si adora il Signore – queste le parole del Pontefice – si diventa adoratori del male, come lo sono coloro che vivono di malaffare, di violenza. La vostra terra, tanto bella, conosce le conseguenze di questo peccato. La ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato, bisogna dirgli di no. La Chiesa, che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre più spendersi perché il bene possa prevalere. Ce lo chiedono i nostri ragazzi, ce lo domandano i nostri giovani bisognosi di speranza. Per poter rispondere a queste esigenze, la fede ci può aiutare. Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati” .
Queste parole, rafforzate dall’autorità del Pontefice, chiudono il cerchio del cammino intrapreso dalle Chiese locali che sono in Calabria e suonano ormai come una presa d’atto corale di un atteggiamento inderogabile e indifferibile: configurando la mafia come apostasia, i suoi adepti, che non sono in comunione con la Chiesa, sono collocati automaticamente fuori dalla comunità cristiana e dalla retta professione di fede: costituiscono, quindi, una contro-testimonianza. Vogliamo, perciò, di nuovo esortare il popolo di Dio, che vive nelle nostre terre, così come facemmo nel 2007, “a compiere ogni sforzo per rinunciare ad atteggiamenti che possono alimentare il fenomeno mafioso. E ciò non solo mediante la condanna di tutte le forme di violenza, ma anche avendo sempre presente che la risoluzione dei problemi personali non va affidata al padrino di turno ma a chi è preposto dall’Autorità dello Stato” .
Il Santo Padre, insomma, ha ribadito che chi appartiene a queste forme mafiose si è già posto fuori dalla comunione con la Chiesa; e ha rimarcato l’inaccettabilità di stili di vita, comportamenti e azioni, oggettivamente inconciliabili con il messaggio evangelico. Da ciò deriva che il mafioso, se non dimostra autentico pentimento, né volontà di uscire da una situazione di peccato, non può essere assolto sacramentalmente nel rito della Confessione-Riconciliazione, né può accedere alla Comunione eucaristica; tantomeno può rivestire uffici e compiti all’interno della comunità ecclesiale. Nel cammino di conversione la Chiesa, però, non lo lascia solo, ma lo accompagna con pazienza e amore, come ci ha insegnato Gesù.
10.In passato furono istituiti, e sono ancora in atto, percorsi di guarigione delle coscienze, che videro tanti credenti, presbiteri, religiosi, laici, parrocchie ed esperienze aggregative attivarsi per un impegno che non doveva e non poteva restare esclusivo di pochi coraggiosi pionieri. Opere e segni che, insieme alla sofferenza di alcuni, sono stati come un “seme fecondo” per segnare un’altra tappa nel cammino verso precise scelte, tese a purificare il servizio della Chiesa nel mondo. Non sono mancate irresponsabili connivenze di pochi, nonché silenzi omertosi: e di questo i credenti sanno e vogliono chiedere perdono.
Ma accanto alla gramigna, silenziosamente cresce il campo del bene che si distingue, senza mezzi termini, per la sua luminosità e la sua coerenza. Un campo seminato dal lavoro capillare e feriale di pastori e di laici che, nella predicazione, nella catechesi, nell’impegno sociale, hanno dissodato e coltivano il terreno, perché cresca il buon grano. Nell’ultimo ventennio c’è stato un fiorire di iniziative ecclesiali, associative, culturali, che hanno recepito e tradotto le istanze evangeliche di liberazione della terra calabrese. Anche gli stessi Convegni ecclesiali regionali, dal 1978, sono stati appuntamenti per una riflessione critica delle comunità ecclesiali sulla malapianta della criminalità organizzata.
11. Al potere mafioso, che permea ancora singoli e istituzioni, dobbiamo opporre quel tanto auspicato e nuovo senso critico per discernere i valori evangelici e “l’impegno dei cristiani nella polis – come espressione della carità e dell’amore che il credente vive in Cristo”, senza disertare la politica, anche se casi di corruzione spingerebbero a cedere alla tentazione di farsi da parte. Sappiamo che il cammino è lungo, ma intendiamo ribadire con forza che “le mafie, di cui la ‘ndrangheta è oggi la faccia più visibile e pericolosa, costituiscono un nemico per il presente e l’avvenire della nostra Calabria. Noi dobbiamo contrastarle perché nemiche del Vangelo e della comunità umana. In nome del Vangelo, dobbiamo tracciare il cammino sicuro ai figli fedeli e recuperare i figli appartenenti alla mafia”. E soprattutto ai giovani si diceva, ed oggi ancora vogliamo confermare, che “l’appartenenza o la vicinanza ai clan non sono un titolo di vanto o di forza, bensì di disonore e debolezza” .
12.Dalla presa di distanza alle forti denunce, dalla presa di coscienza alla testimonianza: è un cammino per arrivare oggi al deciso appello al pentimento, alla conversione, alla pacificazione del cuore di fronte alla luce del Vangelo che ci chiama alla testimonianza della verità. La chiarezza e la franchezza ci sono richieste dal Signore che ci manda “come agnelli in mezzo ai lupi” (Mt 10,16), ma con il coraggio di annunciare la Speranza e operare per il riscatto di questa regione.
Per inquadrare bene la realtà della Chiesa e della ‘ndrangheta, è perciò, ancora una volta, necessario richiamare le rispettive nature e finalità: sono due realtà incommensurabilmente tra loro lontane; e su ciò si fonda l’abissale differenza tra una comunità, la nostra, fondata sull’amore di Dio e del prossimo, rispetto all’altra, costruita sulla minaccia e sulla paura, su una falsa fede e una distorta religiosità, su aggregazioni di odio e di sangue contro chi viene considerato nemico giurato e perciò da eliminare anche fisicamente.
13. La ‘ndrangheta è un’organizzazione criminale fra le più pericolose e violente. Essa si poggia su legami familiari, che rendono più solidi sia l’omertà, sia i veli di copertura. Utilizzando vincoli di sangue, o costruiti attraverso una religiosità deviata, nonché lo stesso linguaggio di atti sacramentali (si pensi alla figura dei “padrini”), i boss cercano di garantirsi obbedienza, coperture e fedeltà.
La ‘ndrangheta – lì dove attecchisce e prospera – svolge un profondo condizionamento della vita sociale, politica e imprenditoriale nella nostra terra. Con la forza del denaro e delle armi, esercita il suo potere e, come una piovra, stende i suoi tentacoli dove può, con affari illeciti, riciclando denaro, schiavizzando le persone, ritagliandosi spazi di potere. È l’antistato, con le sue forme di dipendenza, che essa crea nei paesi e nelle città. È l’anti-religione, insomma, con i suoi simbolismi e i suoi atteggiamenti utilizzati al fine di guadagnare consenso. È una struttura pubblica di peccato, perché stritola i suoi figli. È contro la vita dell’uomo e contro la sua terra. E’, in tutta evidenza, opera del male e del Maligno.
Nelle radici della ‘ndrangheta c’è, infatti, il concetto di un “assoluto”, sopra del quale non c’è alcun altro: ma solo il capo di turno e la “cupola” mafiosa. Un “assoluto” da cui si dipende, a cui bisogna sempre ubbidire e rendere conto di tutto; un “assoluto”, che ha l’ultima parola sulla vita stessa degli altri. Non ci vuol molto a capire che si è in una situazione diametralmente opposta a quella del Vangelo. Far parte consapevolmente della ‘ndrangheta significa, in sostanza, rifiutare concretamente il Vangelo e il suo segno storico, che è la Chiesa. Scandalosa è l’assimilazione tra certe forme di manifestazione della pietà e della devozione, da una parte; e certi riti pagani e mafiosi di affiliazione ai clan, dall’altra. È vero che le radici del fenomeno vanno inquadrate in una “questione meridionale” ancora irrisolta e in una cultura deviata, che vuole esercitare una supplenza alle deficienze e assenze dello Stato, ai suoi ritardi, e alla sua stessa impostazione sociale, ma è anche vero – lo ribadiamo – che questa forma di criminalità si è trasformata in una piovra, che cerca di sostituirsi allo Stato e vuole dominare il territorio fino a impadronirsene con la forza.
Tale deleterio fenomeno ha infestato la nostra vita sociale ed è penetrato anche in certi scenari religiosi di alcune comunità ecclesiali locali. Possiamo affermare che lo stravolgimento subito dalle devozioni e dalle pratiche di culto della Chiesa ha portato, a volte, alcune belle forme di pietà popolare a diventare autentiche manifestazioni di idolatria, mascherata di religiosità.
III. LA CHIESA E LE ISTITUZIONI DELLO STATO
14. Di fronte ai tanti problemi sociali, la Chiesa si è di continuo pronunciata, schierandosi dalla parte degli ultimi; essa conferma di non poter tacere o restare indifferente. “La Chiesa e i cristiani hanno il dovere di porsi in prima fila nel denunciare le ingiustizie ma soprattutto creare una forte coscienza morale, sociale e politica, che susciti concrete iniziative” . Chiesa e istituzioni civili, ciascuno nel suo ambito e con la propria missione o finalità, devono impegnarsi insieme per il riscatto di questa terra, nella comune battaglia atta a prevenire stili di vita illeciti, soprattutto a sradicare i tentacoli della mafia, che cerca di infestare ogni ambiente, ogni coscienza, ogni istituzione. I poteri dello Stato di legiferare e di intervenire, attraverso la magistratura e le forze dell’ordine, devono trovare un terreno dissodato: coscienze preparate, ricche di senso civico e morale, acquisito attraverso il cammino formativo delle nuove generazioni.
La Chiesa ribadisce, con profonda convinzione, il rispetto e la stima che ha sempre avuto per le Istituzioni dello Stato, e soprattutto per la Magistratura e le forze dell’ordine, nella loro azione di prevenzione e di repressione, ben sapendo che alcuni hanno “pagato” finanche con la vita l’impegno nel contrastare la criminalità organizzata. Ma, nello stesso tempo, la Chiesa ricorda che la sua missione non sempre può coincidere con l’azione inquirente o punitiva, propria dello Stato. Essa trasmette con fedeltà e chiarezza ciò che Cristo le ha consegnato. Ed annunciando il Vangelo, denuncia il peccato, ma indica alle persone colpevoli la via della comunque possibile ricostruzione interiore ed esteriore, che passa dalla conversione del cuore, dalla riparazione, dalla vita rinnovata completamente in Cristo.
La necessaria collaborazione fra Chiesa e Magistratura segue, pertanto ed ovviamente, le singolari dinamiche dell’una e dell’altra; e trova il suo limite – per la natura stessa della Chiesa – in tutto ciò che riguarda il “foro interno” delle persone, cui la Chiesa si accosta come Madre, particolarmente nell’intimità del segreto confessionale che, mai, a costo perfino della vita, nessun ministro di Dio può tradire.
15.La libertà della Chiesa è la via necessaria per la missione di evangelizzazione nuova della pietà popolare, poiché, fedele agli insegnamenti di Cristo, essa può essere fermento di verità per ogni famiglia, ogni comunità religiosa e ogni Istituzione civile. Il Concordato, con la sua revisione del 1984, garantisce alla Chiesa il libero esercizio del servizio spirituale nella società civile, ma è necessario che i rapporti con lo Stato e le sue istituzioni siano sempre vitali, di dialogo e di sinergia per il raggiungimento del bene comune, nella distinzione netta dei ruoli: la Chiesa non è la magistratura e non è la polizia e non è neppure è un tribunale civile, chiamato a distribuire patenti di mafiosità. La Chiesa è madre e come tale accompagna sempre l’uomo, per aiutarlo a riconoscere i propri errori nell’alveo della giustizia, a convertirsi, oltre che a impedire che si smarrisca. La stessa scomunica, quando è comminata, è monito per un possibile ravvedimento, nell’ottica della misericordia, finalizzata alla guarigione interiore e alla riparazione. Allora è necessario che la Chiesa sia se stessa, anche quando difende la verità del Vangelo di fronte al terribile fenomeno mafioso. Essa possiede per Grazia la forza rinnovatrice per l’uomo e per la storia. Svolgendo quella specifica missione che il Signore le ha affidato, invita continuamente ogni creatura a immergersi nel Corpo di Cristo, da cui può rinascere a vita nuova, risorgendo perfino dai delitti più efferati.
Di fronte alla triste e dolorosa piaga della criminalità, servono la fede nel Signore Risorto e la coerenza delle azioni, che supportino interventi programmati, specialmente quelli relativi alle diverse espressioni della pietà e della religiosità popolare, della formazione remota, prossima e permanente dei presbiteri, dei laici e dei catechisti, nell’esperienza dei movimenti e delle aggregazioni ecclesiali, con l’ausilio e la testimonianza di quel “monastero” di purezza, povertà e obbedienza, rappresentato dalle persone di vita consacrata.
IV. MESSAGGIO DI SPERANZA E INVITO ALLA CONVERSIONE
16. La Chiesa è chiamata a offrire la Parola forte del Vangelo e segni concreti, che mettano in luce da quale parte stiano i credenti in Gesù Cristo, che rivela il Padre ed offre la grazia dello Spirito Santo. Non c’è – e non ci può essere – commistione tra una fede professata e una vita disorientata dall’appartenenza ad organizzazioni criminali e, quindi, votata ad una struttura di peccato, succube delle tentazioni del Maligno.
Alla chiarezza di tale annuncio dobbiamo accompagnare quanto Gesù ci ha insegnato a proposito dell’accoglienza del peccatore e di chi cammina in una vita tenebrosa; e viene dallo Spirito chiamato alla conversione. Senza un cambiamento concreto, pubblico, senza una vera e propria presa di distanza dalla vita vissuta nel male, non si può parlare di pentimento e di vera conversione; sono questi i segni indispensabili per un reinserimento pieno del peccatore nella comunità e per un percorso di ricostruzione interiore.
Tutte le esperienze evangeliche di “conversione”, scaturite dall’incontro con il Signore, hanno comportato un cambiamento integrale della vita: dall’adultera a Zaccheo, da Matteo allo stesso Saulo di Tarso. La conversione richiede all’uomo di rialzarsi dalla propria condizione di peccato, per porre le basi di una vita nuova: «“Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?” Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”» (Gv 8,11), “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19,5); Matteo, alla chiamata del Signore, abbandonò il banco delle imposte inique (cfr. Mt, 9,9); e lo stesso Saulo si lasciò condurre nella cecità dopo aver ascoltato e visto il Signore Risorto, che egli perseguitava nella carne dei suoi fratelli (cfr. At 9,1-19). Fino all’ultimo il Signore dà l’opportunità di tornare a Lui, così come fece con il ladrone pentito: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”(Lc 23,43).
Noi non possiamo vedere il cuore di una persona; e solo i segni esterni possono farci cogliere la tensione suscitata dallo Spirito Santo per una vita nuova, ispirata al Vangelo: il pentimento sincero, tante volte manifestato nelle lacrime, il consegnarsi alla giustizia, il restituire quello che non è stato guadagnato onestamente (“se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto” disse Zaccheo, Lc 19,8), un impegno serio nella carità, una vita nuova in stile penitenziale e un percorso di discepolato, la richiesta pubblica di perdono, la disponibilità al risarcimento e alla riparazione.
È un percorso penitenziale, irto di fatiche, ma non impossibile. La Parola di Dio ci garantisce la possibilità di coniugare Misericordia e Giustizia, Verità e Carità; è proprio del venire di Dio, del sopraggiungere del Messia nella vita e nella storia, questo stato nuovo e di equilibrio; è in se stessa la più grande delle profezie e noi cristiani non possiamo non annunciarla, testimoniarla e crederla. Vogliamo farci aiutare dallo stesso Paolo, che prima era persecutore, poi divenne messaggero della misericordia che il Signore aveva usato nei suoi confronti: “E il nostro invito alla fede non nasce da menzogna, né da disoneste intenzioni e neppure da inganno; ma, come Dio ci ha trovato degni di affidarci il Vangelo così noi lo annunciamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori” (1Ts 2,3-4).
17. È compito della Chiesa mettere ogni impegno, in tutte le forme possibili e compatibili con la sua missione, perché sia estirpata dalla nostra terra questa distorsione peccaminosa; e perché le giovani generazioni siano “vaccinate” con la prevenzione.
Il fenomeno della malavita organizzata di stampo mafioso si presenta di lunga durata, e strutturale, cangiante e adattatosi nel corso del tempo, in rapporto alla lotta messa in atto dallo Stato e accompagnata dalla Chiesa con un cammino di formazione. Questa lotta non è mai stata marginale, né d’emergenza, ma collegata in circolarità con le nostre più vicine regioni meridionali – la Campania, la Puglia, la Sicilia – e con gli occhi puntati sugli ambienti dove il potere politico esprime genuinamente se stesso e la sua forza. Nonostante tutto questo, il fenomeno deprecato permane come una ferita aperta, che, talvolta, sembrerebbe incurabile o inguaribile. Poiché supera i confini regionali e nazionali, fa parte di una minaccia grave, non soltanto per la Calabria, ma per la vivibilità universale. Tuttavia, lo spirito di fede proclama nella verità: “Un autentico spirito di fraternità vince l’egoismo individuale che contrasta la possibilità delle persone di vivere in libertà e in armonia tra di loro. Tale egoismo si sviluppa socialmente sia nelle molte forme di corruzione, oggi così capillarmente diffuse, sia nella formazione delle organizzazioni criminali, dai piccoli gruppi a quelli organizzati su scala globale, che, logorando in profondità la legalità e la giustizia, colpiscono al cuore la dignità della persona. Queste organizzazioni offendono gravemente Dio, nuocciono ai fratelli e danneggiano il creato, tanto più quando hanno connotazioni religiose” .
Per questo, nei confronti di chi, notoriamente e ostinatamente, nel corso della vita terrena abbia preso parte in prima persona, come mandante, come esecutore e collaboratore consapevole, ad organizzazioni criminali, come la ‘ndrangheta, la Conferenza Episcopale Calabra, pubblicamente e solennemente ribadisce che di fatto è fuori dalla comunione con la Chiesa. Nessun dubbio sussiste su questo punto e sulla necessità di segnali chiari, possibilmente anche forti e significativi: la Chiesa sente di dover essere consequenziale, marcando la differenza tra il bene e il male, per non trasmettere messaggi ambigui e ricordare invece, ancora una volta, che chi sceglie la mafia si pone al di fuori del Vangelo; e, quindi, morirà senza la consolazione che lo Spirito offre a chi sceglie la vita vera.
La stessa Chiesa, tuttavia, resta sempre pronta a offrire il balsamo della Riconciliazione e dell’Unzione degli infermi a quanti desiderano convertirsi: ed è disposta sempre ad accoglierli e a mettersi accanto a loro per aiutarli in ogni modo nel cammino di conversione.
La scaletta dei compiti indicati dal Santo Padre parte dalla necessità della lotta a ogni forma di male specie a quello della ‘ndrangheta. Da ciò deriva anzitutto un netto e comunitario no al male, anzi un vero e proprio combattimento spirituale, cui deve far seguito la constatazione, anche canonica, che chi non è in comunione con Dio, a motivo dell’adesione ostinata dentro una strada di male, non è in comunione né con l’Assoluto, né con la Chiesa. Nel corso della visita ai detenuti di Castrovillari, lo stesso Papa ha, tuttavia, ribadito che il carcere (anche quello a cui si devono sottomettere i criminali e gli aderenti a organizzazioni illegali) viene irrogato allo scopo dell’effettivo reinserimento nella società. Ne consegue che, anche il più incallito dei peccatori, giustamente condannato dalla Magistratura, ha ancora possibilità di ravvedersi e di riparare. Dio, infatti, ha detto papa Francesco, “mai condanna. Mai perdona soltanto, ma perdona e accompagna. Il Signore è un maestro di reinserimento: ci prende per mano e ci riporta nella comunità sociale. Il Signore sempre perdona, sempre accompagna, sempre comprende; a noi spetta lasciarci comprendere, lasciarci perdonare, lasciarci accompagnare” .
18. Riconoscere di non essere in comunione con Dio è un appello a intraprendere un cammino di redenzione umana e di reinserimento sociale, ovvero di conversione, non come atto intimistico, ma come proiezione sul piano storico di un’avvenuta trasformazione esistenziale; tale cammino esige, comunque, la riparazione per il male inferto agli altri e al corpo sociale, nonché per le ingiustizie commesse a danno delle persone e della società. Nel caso specifico dello ‘ndranghetista, l’espiazione-riparazione non potrà certo ridare vita agli uccisi, o alle vittime dei reati e degli atteggiamenti mafiosi, ma potrà almeno contribuire alla ricostruzione personale e spirituale e, soprattutto, potrà, con una vita diversa, attaccare il male alla radice, per demolire le fondamenta stesse dell’organizzazione mafiosa.
Vogliamo, pertanto, dire in maniera accorata a quanti ancora si trovano e persistono in queste strutture di peccato: “Convertitevi” nel nome di Gesù. “Egli ha fiducia nell’uomo! Comprendete così, più degli altri, il valore del dolore, del pentimento, della conversione, del ritorno al Padre” disse San Giovanni Paolo II ai detenuti del carcere di Reggio , indicando anche il tempo della detenzione come “medicinale” per tornare nella società rinnovati. “Se crescerà in voi lo spirito di cristiano – proseguì il Papa – potrete con sincerità riconoscere le vostre colpe, cercare il perdono di quanti avete danneggiato…” .
19.Un impegno consapevole nella direzione indicata è richiesto innanzitutto ai Vescovi, ai presbiteri, ai diaconi, ai consacrati, ma anche a tutti gli operatori pastorali. È necessario, infatti, maturare una profonda e corale coscienza della responsabilità che ci è stata affidata nel ministero dell’annuncio e dei sacramenti, ma anche nel compito di guide ed educatori del Popolo di Dio. Questo significa coltivare una vita di preghiera e di carità, coniugando per primi autenticità, coerenza, amore per il prossimo, giustizia e legalità; senza dimenticare, sulla scorta del documento “Chiesa italiana e Mezzogiorno”, che “la carenza della famiglia, talvolta la connivenza o peggio l’incoraggiamento della famiglia, alimentano le faide e altre forme di devianza criminosa” .
In tale direzione, ribadiamo la centralità della pastorale familiare, perché in famiglia si generano nuove vite e si trasmettono i modelli educativi e formativi; in famiglia si educa all’amore e alle relazioni giuste e misericordiose; in famiglia si rimprovera chi sbaglia e si accoglie chi riconosce l’errore. E se, da un lato, assistiamo a un processo di disgregazione, a volte di snaturamento e di crisi della famiglia contemporanea, dall’altro abbiamo il dovere di non rimanere a guardare, sospinti dalla certezza che, ben evangelizzata e curata, la famiglia possa ancora essere lievito di una società e di una comunità ecclesiale rinnovata, che diventa, come dev’essere, una vera “famiglia delle famiglie”.
20.Compito peculiare di noi Pastori, è predicare la Parola di Dio perché tutti, senza eccezioni, si convertano: pecore e lupi. Il pastore dinanzi al male, al malaffare, alle ingiustizie, non può usare, per codardia, la prudenza del diplomatico o, peggio ancora, far finta di non vedere. In questi casi, anzi, deve avvalersi della chiarezza e dell’indignazione, di giuste e veraci parole, di azioni corrette, di sostegno spirituale alla gente e sempre alla luce della buona novella di Gesù Cristo, che va testimoniata con coraggio. Intendiamo inserirci, per il nostro specifico, nelle opere messe in atto dallo Stato, per trasformare tanti individui in altrettanti cittadini, consapevoli dei propri doveri, ma anche dei propri diritti irrinunciabili.
In questa prospettiva, attraverso la presente Nota pastorale e, soprattutto, con le proposte e le azioni in essa contenute, vogliamo infondere coraggio e, soprattutto, rilanciare la fiducia nelle grandi capacità dei calabresi, credenti e persone di buona volontà, troppo spesso vanificate dalla indifferenza, dalle omissioni, dalla mancanza di impegno e dalla rassegnata indulgenza di molti. L’atavico fatalismo, che si ritrova in alcune nostre realtà, ha finito talvolta per travolgere ogni esperienza, facendo della sterile attesa la cifra essenziale dell’esistenza, il contrario cioè dell’autodeterminazione e della responsabilità, dell’impegno attivo e del rinnovamento.
La parola chiave è una sola: Vangelo! Illuminata dal Vangelo, tutta la morale civica riveste e rispecchia il significato e il dinamismo teologale della fede. “La verità del Vangelo – ha scritto Benedetto XVI – preserva ed esprime la forza di liberazione della carità nelle vicende sempre nuove della storia. Senza verità, senza fede e amore per il vero, non c’è coscienza e responsabilità sociale, e l’agire sociale cade in balìa di privati interessi e di logiche di potere” . Avanti, allora, insieme! Con coraggio, determinazione e speranza, testimoniamo la verità del Vangelo e così l’annunceremo nel nome di Gesù Cristo con parresìa, cioè con chiarezza nello Spirito. Un futuro nuovo per la Calabria è possibile; ci crediamo per la fede che abbiamo nell’onnipotenza di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.
23. Affidando a un prossimo Direttorio su aspetti della Celebrazione dei Sacramenti e della Pietà popolare, principi e linee guide, a cui ispirarsi e attenersi nelle nostre Diocesi di Calabria, consegniamo questa nostra Nota Pastorale nel giorno della Natività del nostro Signore Gesù Cristo. Come questa nascita ha segnato l’inizio della nostra salvezza, che continua a operare in chi l’accoglie nella propria vita, come dono di amore, così le nostre indicazioni possano contribuire a far sorgere una alba nuova di redenzione nella nostra terra. L’annunzio dell’Angelo risuonerà così davvero di gloria a Dio, che opera cose grandi anche nel buio della notte della storia, e proclama per le donne e gli uomini che egli ama tempi di grazia, di serenità duratura, di gioia pura e forte, di verità e di speranza.
25 dicembre 2014, Natale del Signore.
I Vescovi della Calabria

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